Alla fine l’Iran ha risposto alle provocazioni di Israele. E lo ha fatto a suon di missili. “Il Paese è entrato in stato di guerra e qualsiasi contenuto a favore del nemico e che indebolisca il Paese, il governo, l’esercito, è considerato tradimento”. A dichiararlo, ieri sera, il ministero dell’Intelligence iraniano dopo la conclusione dell’attacco avvenuto con i missili balistici ipersonici Fattah 1, presentati 15 mesi fa, contro Israele.
Per l’esercito israeliano (Idf) sarebbero stati 180 gli ordigni lanciati e riferisce che “un gran numero” di questi sarebbe stato intercettato. Grazie anche agli Stati Uniti che hanno partecipato alla difesa di Israele, sia rilevando la minaccia iraniana, sia intercettando alcuni dei missili.
L’Idf riferisce che ci sarebbero stati impatti “isolati” nel centro di Israele e diversi altri impatti nel sud del Paese. Per la tv di Stato iraniana, invece, alcuni missili balistici avrebbero colpito i carri armati israeliani dislocati nel cosiddetto corridoio di Netzarim, che divide la parte settentrionale di Gaza da quella meridionale dai primi giorni dell’offensiva israeliana nell’enclave. Subito prima l’attacco, l’Iran ha sospeso i voli dall’aeroporto internazionale di Teheran. Chiuso anche lo spazio aereo di Giordania e Iraq. “Una risposta di Israele provocherà una reazione devastante”, ha fatto sapere l’Iran.
Idf: “Dall’Iran un atto grave. Colpiremo quando lo decideremo noi”
“L’Iran ha compiuto un atto grave questa sera e sta spingendo il Medio Oriente verso un’escalation. Agiremo nel luogo e nel momento che sceglieremo, in conformità con le direttive del livello politico”, ha detto il portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), Daniel Hagari. Di una “escalation significativa” da parte dell’Iran ha invece parlato la Casa Bianca. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha definito l’attacco “totalmente inaccettabile”. “Il mondo deve condannarlo”, ha aggiunto.
“Ci consulteremo con Israele sui prossimi passi” e “continueremo a monitorare la situazione per ulteriori minacce e attacchi dall’Iran e dai suoi alleati”, ha invece commentato il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan in un briefing con i reporter alla Casa Bianca.
Vertice d’urgenza a Palazzo Chigi
In Italia Giorgia Meloni ha convocato d’urgenza un vertice a Palazzo Chigi per discutere la situazione e valutare le misure necessarie. Alla riunione hanno partecipato il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Antonio Tajani in collegamento da remoto, il Ministro della Difesa Guido Crosetto, il Sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata per i servizi di sicurezza, i vertici dei servizi segreti, il Consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio e, in collegamento, l’Ambasciatore d’Italia in Israele, Luca Ferrari.
Nel condannare l’attacco iraniano a Israele, “il Governo italiano esprime profonda preoccupazione per gli sviluppi in corso e lancia un appello alla responsabilità di tutti gli attori regionali, chiedendo di evitare ulteriori escalation”, la nota ufficiale.
Il dilemma di Khamenei
Mostrare i muscoli, senza voler scatenare una guerra aperta con il nemico di sempre. Sembra questa la linea scelta da Ali Khamenei che ha optato per un blitz analogo a quello di aprile scorso, preannunciato e in gran parte neutralizzato da Israele e dai suoi alleati. Una scelta che ha consentito a Teheran di salvare la faccia e ristabilire sulla carta un principio di deterrenza nella regione.
Il regime degli ayatollah è rimasto profondamente scosso dalle uccisioni di Hassan Nasrallah e Ismail Haniyeh. Soprattutto l’eliminazione del leader sciita libanese – ultimo obiettivo importante centrato da Israele, dopo aver smantellato anche i comandi militari del Partito di Dio e avere decapitato Hamas, uccidendo Haniyeh con una bomba piazzata a Teheran – aveva lasciato una ferita che doveva essere vendicata.
L’establishment in Iran è diviso
Ma nelle riunioni d’emergenza convocate per fare il punto della situazione erano emerse profonde spaccature nell’establishment, secondo quanto ha ricostruito il New York Times. Khamenei, anche nei suoi interventi pubblici, aveva chiarito che sarebbe stato Hezbollah a vendicare il suo leader e che l’Iran avrebbe soltanto fornito “supporto”.
Nello stesso modo si era espresso il capo dei Pasdaran, il generale Hossein Salami, inviando un membro dell’élite del suo corpo a Beirut per aiutare Hezbollah a risollevarsi. Ancora più concilianti i toni adottati dal presidente Masoud Pezeshkian all’Assemblea Generale dell’Onu: Teheran, aveva assicurato, sarebbe stato pronto “a deporre le armi se Israele avesse fatto lo stesso”.
Una linea all’insegna del pragmatismo, in una fase in cui la diplomazia iraniana sta tentando di riprendere il dialogo con l’Occidente sul dossier nucleare, per sfuggire alla morsa delle sanzioni che hanno contribuito ad affossare l’economia del Paese. Un’economia che al contrario subirebbe altri pesantissimi colpi da una guerra aperta con Israele, che gode di una netta superiorità militare.
I falchi spingono
Sul fronte opposto a Teheran c’è una fetta influente del regime preoccupata per i continui segnali di debolezza fin qui mostrati di fronte alle potenze rivali in Medio Oriente (non solo Israele, ma anche le monarchie sunnite). Una fazione in cui spicca l’ultraconservatore Saeed Jalili, che ha esortato a colpire Israele prima che lo facesse il nemico.
Una posizione condivisa dall’ayatollah Mohammad Hassan Akthari, secondo cui l’Iran dovrebbe inviare truppe in Libano al fianco di Hezbollah, come aveva fatto per il regime di Assad durante la guerra civile in Siria. Lo stesso Khamenei, che dopo la morte di Nasrallah è stato costretto a spostarsi in un luogo di massima sicurezza, era consapevole che il regime non potesse rimanere a guardare.
E così ha autorizzato il bis dell’attacco a Israele del 13 aprile, che non produsse risultati ma fu comunque inedito e dal forte impatto d’immagine (soprattutto a fini interni): una soluzione di compromesso per mettere d’accordo falchi e moderati. Ora si attendono le mosse di Israele.