A leggere i giornali e a sfogliarli giorno dopo giorno, pare proprio che il Movimento cinque stelle tradisca a ritmo incessante una promessa dietro l’altra. Prima l’Ilva, poi la Tap, poi ancora le trivelle, infine Banca Carige. Ma è davvero così che stanno le cose? Davvero i Cinque stelle hanno tradito il programma presentato in campagna elettorale e, dunque, la fiducia dei suoi elettori? Andiamo a vedere, punto per punto, tutti i fronti caldi per i pentastellati e come stanno realmente le cose.
Risparmiatori tutelati. Non un euro alle banche. Titoloni sui giornali di ieri: i Cinque stelle avrebbero salvato con soldi pubblici Banca Carige. L’istituto di credito ligure come Banca Etruria. Di Maio come Renzi. E lo stesso ex premier è intervenuto gridato allo scandalo e addirittura dicendo che i gialloverdi avrebbero dovuto scusarsi. Ma stanno realmente così le cose? A rispondere, punto per punto, alle accuse è stato lo stesso Di Maio sul blog delle stelle. La lettura del post può essere illuminante. Dieci punti, schematici, in cui si sottolinea che “non abbiamo dato un euro alle banche”, “abbiamo scritto in una legge che se serve lo stato potrà garantire nuovi titoli di Stato e potrà ricapitalizzare. Speriamo non serva”. E ancora: “Se si dovesse usare quella garanzia o se si dovessero mettere soldi pubblici, banca Carige deve diventare di proprietà dello Stato. Ovvero deve essere nazionalizzata”. Insomma, non ci sarà nessun regalo ai banchieri.
Dalla Tap all’Ilva. Passi indietro obbligati. Che i capitoli Tap e Ilva siano note dolenti per i Cinque stelle, non c’è ombra di dubbio. Basta riprendere video di qualche mese fa per ricordare le promesse fatte dai pentastellati sui due temi: l’Ilva avrebbe chiuso perché la salute viene prima di tutto; la Tap non sarebbe mai stata autorizzata perché – repetita iuvant – la salute viene prima di tutto. Sappiamo bene come sono andate le cose. Gli alibi, però, ci sono. Per quanto riguarda l’Ilva, la gara – come riconosciuto dallo stesso Di Maio – non poteva essere fermata, dopo le pratiche avviate dall’ex ministro Calenda. E alla fine l’azienda è passata in mano ad Arcelor Mittale. C’è da dire, tuttavia, che Di Maio, rispetto al suo predecessore, è riuscito a strappare condizioni più vantaggiose sia da un punto di vista occupazionale che ambientale. Sulla Tap, invece, tutto è a onor del vero andato secondo copione. Come voleva il contratto di Governo è stata eseguita la fatidica analisi costo-benefici. E, nonostante il Movimento si sia professato da sempre contrario all’opera, alla fine i potenziali costi risarcitori (circa 20 miliardi) hanno fatto desistere da ogni resistenza. L’opera si farà, ha dovuto annunciare il Governo, con il ministro del Sud, Barbara Lezzi, in prima fila.
Tempi lunghi sulla Tav. M5S fuori dal tunnel. Altro tema delicato è senz’altro quello relativo alla Tav. Anche qui, però, per tutti parla il contratto di Governo: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. E, affinché questo accada, tutto dipende dal responso dell’analisi costo-benefici. Impossibile non riscontrare una dilatazione dei tempi fuori da ogni logica: mentre tutto è fermo e nonostante a quanto si sa i lavori della commissione creata ad hoc siano belli che conclusi, non si capisce la ragione per cui i risultati restino top secret. In ogni caso, quale che sia il responso, anche in questo caso l’obbedienza al programma di Governo (votato – per inciso – a maggioranza bulgara dagli attivisti del Movimento) è evidente. Resta da capire solo quando ci sarà il responso. Semmai ci sarà.
Sì alle trivellazioni? Ennesima bufala. Tutti sgomenti: il Movimento cinque stelle avrebbe autorizzato nuove trivellazioni. Ma come? Proprio il Movimento vicino al rispetto dell’ambiente e che al passato referendum spingeva per votare no alle trivellazioni in mare volute dal Pd? Mai possibile? A commentare le presunte autorizzazioni concesse dal Mise e dunque dal ministro Di Maio, ancora una volta Carlo Calenda: “Esattamente è la stessa cosa avvenuta nelle vicende Ilva e Tap. Ciò che risulta grave, soprattutto, è l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità quando ci si accorge di non poter mantenere le promesse della campagna elettorale”. Peccato che le cose non stiano così. Quelle in ballo, infatti, non sono trivellazioni nuove, ma autorizzazioni alla ricerca. Autorizzazioni, peraltro, che hanno alla base pareri favorevoli resi tra il 2016 e il 2017 da Governi targati Pd, pareri che oggi il Mise non può superare se non esponendosi alle iniziative delle società petrolifere. Non a caso sul punto è intervenuto proprio ieri anche il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli: “Noi quelle autorizzazioni non le daremo. Perché trivellare per cercare fossili significa tornare al Medioevo e noi abbiamo scritto nel contratto di programma cose diverse”. Punto.
Passi indietro con l’Ue. Ma il Reddito di cittadinanza c’è. Altro tema su cui molto probabilmente diversi attivisti si sono sentiti “traditi” dal Movimento cinque stelle è quello, portante, della Manovra e del rapporto con l’Unione europea. Slogan e sfottò, d’altronde, si sono sprecati: per molti i Cinque stelle sono partiti da capobanda per ritrovarsi ad essere, come si suol dire, “suonatore di piattini”. Ma davvero l’Europa ha vinto? Anche su questo i numeri parlano per tutti. Alla fine, come si sa, si è trovato l’accordo su un rapporto deficit/Pil fissato al 2,04%. Decisamente meno rispetto al 2,4% previsto inizialmente. Ma certamente più alto rispetto all’1,6% su cui premevano i burocrati capitanati da Juncker e da Moscovici e Dombrovskis. Alla fine, dunque, numeri alla mano, non si può dire che i gialloversi non abbiano ottenuto molto di più di quanto inizialmente previsto dalla Commissione europea. Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare. I provvedimenti-chiave per Lega e Cinque stelle, e cioè Reddito di cittadinanza e Quota 100, hanno trovato spazio. Certo: in parte ridimensionati, in parte modificati. Ma la maggioranza non ha fatto passi indietro su quanto promesso agli elettori e contenuto nel contratto di Governo. Senza dimenticare un altro piccolo particolare: il contratto ha una durata quinquennale. Solo alla fine della corsa si giudicherà quanto i gialloverdi sono riusciti a realizzare. Insomma, per strutturare tutti i provvedimenti c’è tempo. In soli sette mesi quanto fatto non è poco. E certamente più di quanto fatto nello stesso periodo dai governi precedenti.
Porti chiusi e migranti. Comanda il Carroccio. Che il tema dell’accoglienza e dei migranti sia sensibile, lo dimostrano le tante polemiche interne quando al Senato è stato approvato il decreto Sicurezza, fortemente voluto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Se da una parte, infatti, una stretta sull’accoglienza era necessaria e il Movimento non ha mai nascosto quest’aspetto, è altrettanto vero che nel contratto di Governo non si parla di chiusura dei porti (peraltro mai effettivamente avvenuta anche se il titolare del Viminale la vende come cosa bella e fatta). Basti questo per capire il motivo per cui non sorprende che, davanti alla protesta dei sindaci da Orlando a de Magistris, c’è stato chi – da Matteo Mantero a Paola Nugnes – ha criticato l’atteggiamento dei Cinque stelle e ha parlato di “tradimento”. Sul punto, probabilmente, il Movimento dovrebbe rivedere le proprie posizioni. Ma è anche vero che in un contratto tra due parti qualcosa bisogna pur cedere. Resta, tuttavia, valida la critica di chi sottolinea come, contratto di Governo alla mano, il decreto Sicurezza si spings decisamente oltre.
Bombe all’Arabia e F-35. I pacifisti sono delusi. Riavvolgiamo il nastro e torniamo alla scorsa legislatura. La posizione del Movimento in riferimento agli F-35 e alle bombe vendute all’Arabia Saudita era chiara: stoppare immediatamente vendite illegali e criminali. Ad oggi, però, nulla è stato fatto. E, contrariamente ai casi Ilva e Tap dove c’è (più o meno) l’alibi del “è colpa di chi ci ha preceduto” e del “non potevamo fare diversamente”, nei casi militari non c’è nulla di questo. Non costerebbe nulla, ad esempio, non autorizzare l’esportazione di armi all’Arabia. Anche perché le prove che bombe italiane siano state sganciate in Yemen in una guerra criminale sono tangibili e conclamate. Peraltro anche altri Stati (Germania in testa) hanno bloccato tali commesse. A maggior ragione, dunque, stupisce che l’Italia ancora non abbia mosso un dito. Stesso dicasi per gli F-35: se fino a qualche mese fa il programma militare di acquisizione dei caccia era folle e senza senso, oggi ottiene riabilitazione dal sottosegretario alla Difesa, Tofalo. A poco serve annunciare tagli agli investimenti militari se poi da altre parti del mondo si muore per colpa anche dell’Italia.