Pil dimezzato, lavoro precario o in nero, nessuna politica industriale. È impietoso il nuovo rapporto Svimez sul Mezzogiorno. Sono dati che mettono fine a propaganda e parole senza riscontro su una presunta stagione di sviluppo per le regioni meridionali. Al contrario, si apre una nuova fase di divario con il Nord. E per l’associazione che ha reso noto ieri il suo tradizionale rapporto è facile individuare anche un nemico preciso per il riscatto del Sud, l’autonomia differenziata. “È anacronistica – dice il rapporto Svimez – se si considerano gli shock che hanno colpito l’economia e la società italiana negli ultimi tre anni. Shock globali che hanno fatto emergere i limiti di risposte frammentate a livello territoriale. L’autonomia differenziata espone l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l’inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese”.
È impietoso il nuovo rapporto Svimez sul Mezzogiorno. Cresce il divario col Nord. E l’Autonomia darà il colpo di grazia
L’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso, soprattutto, il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito del meridione. Uno dei tanti aspetti critici ed emergenziali è la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale che resta “su livelli patologici”. Quasi quattro lavoratori su dieci, il 22,9%, nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni. Siamo di fronte a vite precarie e l’occupazione non è nemmeno sinonimo di una vita fuori dal rischio del disagio sociale. Infatti altra piaga che emerge è il lavoro povero: “la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata – scrive Svimez – è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022. Un incremento si osserva tra le famiglie degli operai: +3,3 punti percentuali”.
Negli ultimi 20 anni 1,1 milioni di persone hanno lasciato il Sud. Erano soprattutto giovani in cerca di lavoro
Nel rapporto si analizza anche la querelle sul taglio dei fondi, compresi gli asili nido. Il valore dei progetti presenti nel sistema di rendicontazione “Regis” ammonta a 32 miliardi di euro, per il 45% allocati nei comuni del Mezzogiorno. La quota di progetti messi a bando si ferma al 31% nel Mezzogiorno rispetto al 60% del Centro-Nord. Anche la capacità di procedere all’aggiudicazione presenta significative differenze territoriali: 67% al Mezzogiorno, 91% al Centro-Nord. Emergono, in sostanza, criticità e limiti delle amministrazioni meridionali. Il Sud continua anche a perdere popolazione. Non lo aiuta nemmeno la comunità di migranti che si stabiliscono soprattutto al Nord contribuendo a ringiovanire le regioni settentrionali. Il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti, sono soprattuto giovani e nel 2080 la previsione conduce a un’età media superiore a quella del nord con un progressivo invecchiamento da Roma in giù.
Per contrastare il calo demografico diventano determinanti le politiche integrate per l’occupazione femminile e i servizi di welfare a partire dagli asili nido. “Una donna single nel Mezzogiorno – scrive Svimez – ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni”. Il capitolo del rapporto posti nei nidi per ogni cento bambini è disarmante: nessuna regione raggiunge la quota del 10%. Infine i giovani: la laurea aiuta l’occupabilità ma il Mezzogiorno è ben al di sotto (22%) del 29% dei laureati in tutto il Paese, percentuale già inferiore a quella dell’Ue.