Davanti al fenomeno delle paghe da fame, unito all’inflazione e alla diffidenza del governo di Giorgia Meloni verso il salario minimo, il Movimento 5 Stelle alza la voce e oggi terrà una tavola rotonda – organizzata dall’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Sabrina Pignedoli, a Bruxelles per discutere di questa misura di buon senso e della distanza che si sta venendo a creare tra gli Stati Ue e l’Italia.
Oggi all’Europarlamento si terrà una tavola rotonda per discutere del salario minimo a cui parteciperanno economisti e numerosi politici europei. Sabrina Pignedoli, europarlamentare M5S, che cosa vi aspettate da questo incontro?
“Il nostro obiettivo politico è quello di sfatare alcuni falsi miti che stanno girando sulla proposta di legge sul salario minimo che porta la prima firma di Giuseppe Conte. Innanzitutto non è vero che indebolirebbe i sindacati. Pensiamo ad esempio alla Germania, dove salario minimo e contrattazione collettiva coesistono dal 2015 e anzi, secondo uno studio dell’università di Harvard, la sua introduzione ha portato ad un aumento del PIL e all’occupazione. Inoltre, non ha nessuna base scientifica la teoria che aumenterebbero i lavoratori poveri perché anzi il salario minimo porterebbe al rialzo tutti i livelli salariali facendo recuperare il potere di acquisto di tutti i lavoratori e non solo di quelli che hanno paghe da fame. Per noi va applicata alla lettera la direttiva europea”.
Ma dalla destra dicono che i contratti collettivi superano già l’80% e quindi non ci sarà bisogno di applicare la direttiva. Ci può spiegare come stanno davvero le cose?
“Questo è falso. I contratti collettivi nazionali di lavoro registrati al CNEL sono oltre 1.000 ma molti sono scaduti e quindi non vanno inclusi nel conteggio. Negli ultimi 10 anni, in Italia, i contratti collettivi nazionali sono passati dai 551 del 2012 ai 1.037 di oggi. In questa proliferazione, gli accordi scaduti sono 662, cioè il 62,7% del totale. E poi ci sono i contratti pirata che non rispecchiano i criteri di adeguatezza dei salari minimi e che sono circa 350. Gli esponenti della destra evidentemente non sanno come vivono e quanto guadagnano i lavoratori: oltre 3,5 milioni di italiani guadagnano meno di 9 euro l’ora”.
Al tavolo parteciperanno anche l’europarlamentare tedesco di centrodestra Dennis Radtke e Andrés Barceló e Javier Doz Orrit, uno in rappresentanza dei lavoratori e l’altro degli imprenditori, che sono favorevoli a questa misura. È la prova che il tema è trasversale e non relegato all’estrema sinistra come raccontano Meloni & Co?
“Questo è un altro falso mito messo in giro ad arte dalla destra. In Germania per esempio è stato introdotto nel 2015 durante il gabinetto di Angela Merkel che è notoriamente una esponente di centrodestra. Sono 22 i Paesi europei su 27 ad avere questa normativa nel loro ordinamento mentre appena 5 di questi 27 Paesi sono governati da premier che appartengono al Partito socialista europeo. Non è dunque vero che il salario minimo è una misura di sinistra, è semplicemente una misura giusta”.
Come spiega allora questa distanza tra il governo italiano e il resto dell’Unione europea?
“La destra italiana ha una visione classista della società. Non a caso la Ministra Santanché lamentava di non riuscire a trovare camerieri per colpa del reddito di cittadinanza. Per loro i lavoratori sono merce da sfruttare e non individui da valorizzare per le loro competenze e il loro lavoro”.
A dividere l’Italia dal resto dell’Ue non c’è solo il salario minimo ma anche il Reddito di cittadinanza. Una misura che voi avete fatto approvare e che è presente in diversi Paesi Ue ma che le destre hanno eliminato di fretta e furia. Il governo farebbe bene a ripensare a questa decisione?
“Il governo ha deciso di demolire il reddito di cittadinanza prevedendo una distinzione fra occupabili e non, ma così mandano nella disperazione centinaia di migliaia di italiani. Ricordo che anche la raccomandazione della Commissione europea sul reddito minimo non erano previsti limiti alla durata del sussidio che deve essere mantenuto finche permangono le condizioni di accesso. Su questo daremo battaglia”.
In questa legislatura, Bruxelles ha fatto piccoli ma decisi passi in avanti verso un welfare europeo. Crede che nei prossimi anni il tema sarà ancora al centro del dibattito?
“Nella legislatura ancora in corso qualche passo avanti lo abbiamo registrato: l’approvazione della direttiva sul salario minimo, la raccomandazione sul reddito minimo che di fatto è il reddito di cittadinanza, ma anche la direttiva che regola il lavoro per le piattaforme digitali. Tuttavia molto deve essere ancora fatto perché all’interno dell’Unione ci sono oggi troppe divergenze fra i sistemi di tutela e di protezione sociale e questo presta il fianco a fenomeni di dumping sociale che hanno conseguenze enormi per alcuni tessuti produttivi come il nostro. Dopo la crisi sistemica dello Sme che portò alla svalutazione della lira nel 1992 ci fu una accelerazione nell’approvazione del Trattato di Maastricht e la costruzione dell’Unione monetaria. Con la crisi sanitaria del Coronavirus sono arrivati gli acquisti comuni dei vaccini ma soprattutto il Next Generation EU che prevede l’emissione di debito comune e sovvenzioni ai Paesi più in difficoltà. Non aspettiamo la prossima crisi per costruire l’Europa sociale che è quella che manca oggi. L’Europa ha senso solo se è tangibile e migliora la qualità della vita dei cittadini”.