di Gaetano Pedullà
Se la rideva ieri Angelino Alfano dopo l’apertura a Renzi. Il suo minuscolo Centrodestra può dettare legge al governo, garantendo alla maggioranza il minimo sindacale per ottenere la fiducia. La linea di galleggiamento c’è, ma al primo vento la barca affonda. Altro che riforme! Qui sarà ardito il più piccolo passaggio parlamentare, con la conseguenza di restare nella palude né più né meno di come è andata con Letta. L’ambizione del segretario Pd, ammaliato dalle sirene dei poteri forti, sta già presentando il conto. E abbandonare la via maestra (subito la legge elettorale e poi il voto) per governare con una maggioranza tanto precaria rischia di portare a casa i famosi “zeru tituli” di Mourinho mentre Europa, banchieri, lobby e potentati vari continueranno a spartirsi quel che resta di questa povera Italia. Per questo l’avvertimento preventivo di sessantamila artigiani, commercianti e piccoli imprenditori ieri in piazza a Roma suona già come un ultimo avviso. Nel mirino però non c’è Renzi, che in fin dei conti non si è ancora insediato, ma l’intera classe politica. L’economia reale è bloccata da troppo tempo. Burocrazia, fisco, promesse tradite (come il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni) hanno messo sul lastrico milioni di persone. Uomini e donne in carne e ossa, con le loro famiglie, i loro sogni, le speranze e i sacrifici di una vita travolti da una banca che improvvisamente chiude i rubinetti del credito o da Equitalia. A questo mondo la politica deve risposte serie e responsabili. Con un dovere in più rispetto agli anni delle vacche grasse, quando il sistema riassorbiva tutto e per molti imprenditori la vita dava mille alternative a gesti estremi che sanno di omicidi di Stato. Questo dovere è quello di fare le cose, ma anche di ammettere – se ciò non è possibile – che va passata la mano. Ambizione o non ambizione.