Nella migliore delle ipotesi, a voler non esser maligni, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, si può classificare come un autentico gaffeur. Dà numeri sballati sugli sbarchi dei migranti e si lancia in considerazioni del tutto contro corrente sulla mafia. Giovedì sera, intervistato da Corrado Formigli a Piazzapulita su La7, ha avuto il coraggio di sostenere, mentre le indagini della Procura di Palermo sull’arresto di Matteo Messina Denaro stanno portando alla luce una rete di complicità che ha reso possibile la trentennale latitanza del boss mafioso, che “il livello politico della mafia è storia passata”.
Senza senso
In realtà in prima battuta, parlando dei passi falsi che avrebbe compiuto il boss caduto nella rete degli inquirenti, Piantedosi riconosce che Messina Denaro “una mancanza di cautela l’ha avuta” e questo perché “probabilmente confidava in quella rete di connivenze che sta emergendo in qualche modo.
Ci sono già stati degli arresti, altri erano stati fatti in passato, tutto questo è stato collegato però – dice il ministro – ad ipotesi di trattative e questo dispiace un po’, lasciamo lavorare gli inquirenti. Sono tutte ipotesi da verificare e solo in quei contesti di origine che questi personaggi potevano e possono fruire di quella rete di connivenze che altrove non sarebbe stata possibile.
Le indagini ci aiuteranno a capire come questo è accaduto e come può succedere. Il procuratore Maurizio De Lucia ha parlato di ‘borghesia mafiosa’ che l’ha protetto e io l’ho interpretato come qualcosa che non solo appartiene a gente di strada ma anche ai medici e ai professionisti con i quali è entrato a contatto e che l’hanno protetto. Questa è una storia ricorrente nella storia di mafia, soprattutto in Sicilia”. E fin qui tutto bene.
Poi all’osservazione del giornalista secondo cui c’è anche un livello politico che non si può escludere, dal momento che la storia ci racconta che il livello politico è stato anche, in certi casi, connivente con i grandi mafiosi, Piantedosi nega che oggi questa connivenza ci sia. “Credo che questa sia una storia più del passato, questo lo dico veramente con considerazioni trasversali a qualsiasi forza politica del momento”, replica il ministro.
“Credo che le lezioni del passato siano state sufficienti al sistema politico nazionale, per cui non ci sono elementi. Anche su questo non voglio fare sempre il rimando di maniera, aspettiamo le indagini”. Ma per smontare l’ennesima bufala di Piantedosi vale proprio riprendere le parole del procuratore di Palermo citato dallo stesso ministro. “La mafia ha sempre avuto rapporti strettissimi con una parte della società che, per semplificare, abbiamo definito ‘borghesia mafiosa’. Parlo del mondo delle professioni, dell’imprenditoria, della politica.
Ovviamente alludo a singole complicità e non è mia intenzione generalizzare, ma è innegabile che Cosa nostra abbia prosperato, si sia consolidata e diffusa così nel profondo nella nostra terra, anche grazie a quella zona grigia, quella terra di mezzo che a volte ha chiuso gli occhi, fingendo di non vedere. E altre ha avuto invece un ruolo di co-protagonista nella storia criminale del Paese. Non dico nulla di nuovo. Parlo di dati consolidati, acquisiti fin dai tempi del maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone”, ha detto De Lucia.
E ancora: “Siamo davanti a un rapporto simbiotico, utile per entrambi i partner direi. La borghesia ne ha tratto vantaggio in termini di protezione e anche economici. Cosa nostra è riuscita così a entrare nei salotti buoni dove si discute di affari, finanziamenti, appalti, dove si decidono le politiche pubbliche”.
Testimonianze pesanti
Lo stesso concetto rimbalza nelle parole di Giuseppe Ayala, ex magistrato, collega e amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pm di riferimento del pool antimafia di Palermo, rappresentante dell’accusa al primo maxi processo a Cosa Nostra. Nei 30 anni di latitanza Messina Denaro ha avuto legami con la politica o i Servizi segreti deviati?
“A me non risulta, ma mi meraviglierei se non ne avesse avuti – ha detto Ayala – Per quanto concerne la collusione tra mafia e pezzi della politica si tratta di un dato acclarato. Come risulta anche nella sentenza del maxi processo, nella provincia di Palermo Cosa Nostra gestiva 180 mila voti. Orientandoli era quindi in grado di far eleggere certi candidati rispetto ad altri”.
Sulla stessa linea l’Associazione ‘’Antimafia e Legalità’’: “In attesa di conoscere gli sviluppi investigativi di tale arresto adesso occorre andare oltre, molto oltre. Restano da individuare le ‘menti raffinatissime’ delle quali parlava Falcone, e i ‘giuda’ ai quali faceva riferimento Borsellino, e che sono all’origine dei tanti misteri e delitti ancora irrisolti del nostro Paese. Costoro si annidano in alcuni settori della politica, delle istituzioni, degli apparati deviati dello Stato, dell’economia, e di quella parte di massoneria che ne costituisce il collante”.
La vera vittoria
Lo Stato avrà vinto – osserva il magistrato Nino Di Matteo, noto per l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia – “quando avrà approfondito e fatto chiarezza sul come e sul perché sia stata possibile una latitanza così lunga nonostante l’impegno di migliaia di agenti delle forze dell’ordine e di decine di magistrati”.
A La Notizia l’ex capo della Procura di Palermo, Gian Carlo Caselli, ha detto testualmente che le mafie “vanno affrontate e colpite appunto come organizzazione, oltre che nelle singole componenti individuali. Le associazioni di tipo mafioso non operano nel vuoto. Sono inserite in un sistema di rapporti di complicità che coinvolgono professionisti, imprenditori, amministratori pubblici, uomini politici, soggetti che affiancano i capi della mafia e formano la ‘borghesia mafiosa’ o ‘zona grigia’. È proprio questa a costituire la vera spina dorsale del potere mafioso”.
Dal mondo della politica reagisce il M5S: “Fossi il ministro non mi sarei avventurata in una affermazione del genere. Non vedo come si possa escludere così categoricamente l’attuale possibilità di collegamenti tra le organizzazioni criminali e certa politica, con azioni di copertura da parte di quest’ultima”, dice a La Notizia Valentina D’Orso, capogruppo M5S in commissione Giustizia della Camera.