“Un’ipotesi di hackeraggio esterno dell’infrastruttura del Ced del ministero dell’Interno non è stata allo stato riscontrata”. Parola del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che al question time in aula al Senato ieri ha risposto così a un’interrogazione di Fratelli d’Italia sull’incremento della sicurezza delle banche dati.
Versioni contrapposte
Un’affermazione perentoria e rassicurante, quella del responsabile del Viminale che ha gettato acqua sul fuoco sugli accessi abusivi alle (teoricamente) impenetrabili reti delle istituzioni. Ma che cozza con le ammissioni rese sempre ieri a palazzo di giustizia a Milano dall’agente Marco Malerba circa le sue intrusioni agli ordini dell’ex superpoliziotto Carmine Gallo…
Intanto il ministro in aula ha continuato: “Ho immediatamente incaricato il capo della Polizia di avviare le verifiche interne sulla sussistenza di ipotizzati accessi abusivi alle banche dati del Viminale, ed in particolare del Ced interforze, o sull’utilizzo illecito delle stesse. All’esito dei primi controlli, l’ipotesi di compromissione dell’infrastruttura del Ced del ministero dell’Interno, da remoto, non è risultata, allo stato, riscontrata, ferme restando le attività investigative in corso”.
I dossier usati per scopi personali e politici
Tuttavia Piantedosi ha avuto ragione quando ha aggiunto che “le indagini di Milano, ma anche quelle che nel recente passato hanno evidenziato attività illecite finalizzate al dossieraggio, pongono il tema della gravità dei comportamenti di chi potrebbe utilizzare dati illecitamente acquisiti, non solo per scopo di lucro, ma anche per attaccare gli avversari politici, alterando le regole della democrazia”.
“Il quadro degli illeciti che emerge al momento” dalle indagini della magistratura, ha proseguito, “è preoccupante e impone a tutti gli attori del sistema di sicurezza di effettuare ogni accertamento e ogni approfondimento necessario”.
Piantedosi difende l’operazione Albania
Ma ieri Piantedosi è tornato anche a difendere l’operazione Albania, nonostante il clamoroso flop della prima spedizione (dei 16 migranti trasferiti in Albania, 4 sono stati riportati in Italia subito e i restanti 12 dopo un’ordinanza del Tribunale di Roma).
“Il progetto Albania risponde all’obiettivo prioritario del Governo di prevenire e contrastare i flussi migratori irregolari e potrà in futuro svolgere un’importante funzione di deterrenza, con conseguenti benefici che si rifletteranno anche sul lavoro e sui compiti delle Forze di polizia”, ha detto.
E circa i rimpatri falliti, ha aggiunto: “A mio giudizio, è stata posta una pregiudizievole attenzione rispetto ad una singola operazione di recupero e trasferimento di migranti svolta da assetti navali pubblici”. Un’attenzione che ha attirato sull’Italia lo sguardo di tutta Europa. E non è stato un bello spettacolo.