Una settimana fa gli spari al largo della Libia e ieri il lancio di pietre e fumogeni nelle acque di Cipro. Le vittime sono sempre i pescherecci siciliani di Mazara del Vallo e, anche se ad agire sette giorni fa è stata la Guardia costiera libica e 24 ore fa imbarcazioni battenti bandiera turca, la regia sembra sempre quella di Ankara.
Ne sono convinte le autorità italiana. Recep Tayyip Erdoğan (nella foto), ricorrendo a un fiume di denaro, sta cercando di acquisire un peso sempre maggiore nel Mediterraneo ed è ormai il leader che pesa di più a Tripoli. Da lì le intimidazioni a Roma. Il premier Mario Draghi intanto sembra convinto che la soluzione sia continuare a finanziare i libici, come fatto in precedenza nel tentativo di frenare le partenze degli scafisti, ignorando a quanto pare che la settimana scorsa gli stessi hanno fatto fuoco contro i nostri pescatori proprio con quelle motovedette finanziate dall’Italia.
IL CASO. Ieri, nelle acque a nord-est dell’isola di Cipro e a 20 miglia dalle coste della Siria, a finire nel mirino dei turchi è stata una delle barche dell’armatore Luciano Giacalone, il peschereccio “Michele Giacalone”, colpito da un fitto lancio di pietre e fumogeni da parte di una decina di imbarcazioni turche. La barca è stata poi più volte speronata, ma ha subito lievi danni. Il peschereccio era insieme ad un altro peschereccio mazarese, il Sangiorgio I, e si trovava in acque internazionali quando è stato attaccato.
“Ci hanno detto che non dovevamo più pescare lì. Eppure siamo in acque internazionali. Immediatamente è intervenuta una nave militare turca e poi un elicottero italiano. Ci sono stati attimi di tensione ma poi per fortuna tutto si è risolto senza conseguenze”, ha dichiarato l’armatore Giacalone. Determinante in tal senso l’intervento della fregata Margottini della Marina militare italiana, impegnata in attività di pattugliamento a 35 miglia a sud del punto dove è avvenuta l’aggressione, che ha evitato che la situazione degenerasse.
“Se non interviene al più presto l’Unione Europea per risolvere il problema della pesca nel Mediterraneo prima o poi ci scapperà il morto”, ha affermato sempre Giacalone. Quest’ultimo ha quindi aggiunto che non basta più il solo governo italiano e che deve intervenire l’Europa, per mettere regole e paletti. Il “Michele Giacalone” è tra l’altro lo stesso peschereccio abbordato dai libici il 3 maggio scorso e salvato dall’intervento di una nave militare italiana.
LA BEFFA. Mentre Erdogan continua a mostrare i muscoli e Palazzo Chigi si prepara ad allentare ancora una volta i cordoni della borsa a favore di Tripoli, la Marina libica intanto sembra anche farsi beffe dell’Italia, ribadendo che, per quanto riguarda gli spari di giovedì scorso contro il peschereccio Aliseo, le imbarcazioni italiane avevano cercato di speronare quella dei guardiacoste.
“Una motovedetta si è recata sul posto per ispezionare le barche e assicurarsi che non fossero coinvolte in operazioni di traffico illecito. Queste barche si sono allontanate dal pattugliatore, non hanno risposto alle richieste di fermarsi e hanno cercato di speronare la motovedetta, ben sapendo il pericolo che questo atto rappresentasse” sostengono i libici. L’opposto di quanto denunciato da Giuseppe Giacalone, comandante del peschereccio Aliseo, ferito alla testa dai frantumi di un vetro infranto da colpi di mitra. E oggi, presso la Commissione esteri della Camera, si svolgerà l’audizione del sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci.