Personale e rendiconti nel mirino. La Corte dei Conti boccia la gestione di Expo 2020

Dalle rendicontazioni alle spese per il personale: i giudici della Corte dei Conti fanno le pulci al commissario di Expo 2020

Personale e rendiconti nel mirino. La Corte dei Conti boccia la gestione di Expo 2020

È un bilancio con pochi chiari e molti scuri quello tratteggiato ieri dalla Corte dei Conti sull’avventura italiana all’Expo 2020 di Dubai, naturale propaggine della manifestazione milanese del 2015. Nella sua analisi sulla partecipazione italiana all’Esposizione Universale di Dubai 2020 (che in realtà si è tenuta dal 1° ottobre 2021 al 31 marzo 2022, causa Covid) la Corte ha infatti rilevato “molteplici criticità”, soprattutto di natura amministrativo-contabile nella struttura commissariale, guidata da Paolo Glisenti.

Personale insufficiente e impreparato

A lui, come era successo per Milano, infatti, il governo aveva affidato il ruolo di gestire il “biglietto da visita del nostro Paese nel mondo”. Tuttavia la struttura di Glisenti, per i giudici, ha scontato un personale insufficiente e spesso non all’altezza dei compiti assegnati.

Si legge infatti nella relazione della Corte: “Le carenze riscontrate nella composizione quantitativa e qualitativa del personale impiegato hanno impattato sulla gestione amministrativo–contabile della struttura commissariale, contraddistinta da molteplici criticità emerse anche nel corso dei controlli annuali eseguiti dall’U.C.B. del Maeci”.

Tanto che “la totale commistione amministrativa dei fondi pubblici (46,2 milioni di euro stanziati dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale) e di quelli privati (come le sponsorizzazioni), non ha permesso di appurare con certezza quanta parte dell’avanzo annuale e finale della gestione (quest’ultimo, pari a 6,94 milioni) sia da ricondurre al mancato impiego degli stanziamenti di bilancio, piuttosto che all’attività di fundraising”.

Questo anche perché su un unico conto corrente, sottolineano i magistrati, confluivano sia i fondi dello Stato, sia quelli ottenuti da sponsor e regioni, rendendo impossibile così capire quali soldi siano frutto di risparmi di fondi pubblici, e quali guadagni della struttura.

Personale reclutato dalle società di somministrazione e non tra la P.a. A costi più alti

La Corte ha puntato il dito sul “discontinuo ed insufficiente ricorso al contingente amministrativo proveniente dal Maeci (…), ciò nonostante la complessa organizzazione e la notevole importanza economico–finanziaria di un evento come “Expo 2020 Dubai”, contraddistinto da molteplici impegni contrattuali (soprattutto all’estero) e dalla gestione di rilevanti risorse statali e di origine privata”.

La struttura commissariale, infatti, avrebbe preferito utilizzare personale reclutato tramite società di somministrazione (soprattutto ex di Expo Milano), come Manpower e Ranstad Italia, piuttosto che cercarlo nella pubblica amministrazione. Aggravando i costi. A Manpower, il commissariato versa 228.488,53 nel 2021 e 45.208,50 nel 2022, mentre a Randstad nel solo 2022 vanno 368.036,02 euro.

“Il ricorso al lavoro in somministrazione ha determinato a carico del Commissariato una spesa per gli anni 2020 e 2021 complessivamente pari a 641,73 mila euro (IVA compresa), dei quali: 273,70 mila fatturati dalla “Manpower” per la fornitura di personale principalmente impiegato presso Palazzo della Farnesina con mansioni di segreteria (…); 368,03 mila pagati alla “Randstad” a fronte della messa a disposizione di figure professionali presso entrambe le sedi commissariali (Roma e Dubai, ndr), addetta sia a funzioni amministrative e di segreteria, sia alle attività più strettamente attinenti all’organizzazione dell’esposizione nazionale”, scrive la Corte.

“Dunque, si rileva che, nonostante le opportunità offerte dalla normativa di riferimento per definire la struttura organizzativa dal punto di vista numerico e qualitativo, (…) il Commissariato ha altresì optato per la “fornitura” di personale con profilo professionale ascrivibile all’area II–F3 del comparto ministeri, sostenendo una spesa ulteriore rispetto ai circa 3 milioni di euro (più oneri fiscali e contributivi) già previsti per i contratti ex dell’articolo 7”.

Ma anche le rendicontazioni del post Expo non vanno benissimo

Infine la Corte ha bacchettato il commissario anche sulle rendicontazioni: “Per molti accordi di collaborazione con le Regioni è stato disatteso lo scadenzario dei versamenti dovuti al Commissariato, anche a causa dalle lungaggini nei tempi di rendicontazione da parte della struttura; inoltre, le relazioni finali sulle spese sostenute si sono limitate ad una mera indicazione sommaria dei costi provvisionali ed effettivi per le prestazioni eseguite”, scrive.

E aggiunge, “non è stata adeguatamente provata la destinazione finale dei beni acquisiti mediante le sponsorizzazioni in natura, poiché la documentazione fornita in sede di istruttoria è risultata non del tutto riconducibile agli stessi”. Per concludere: “Gli introiti derivanti dalla locazione di spazi e servizi accessori (…) sono stati incassati con notevole ritardo rispetto alle scadenze pattuite”.

Expo 2025 Osaka affidato al console “fascio-rock” Vattani

Non certo il miglior viatico per Expo Osaka del 2025. Per la manifestazione il commissario italiano sarà Mario Vattani, figlio del due volte segretario generale del Ministero degli affari esteri Umberto, nominato da Meloni ambasciatore, nonostante nel 2011 fosse stato sospeso dalla diplomazia dopo aver partecipato a un raduno di Casapound con la sua band SottoFasciaSemplice.