Intervenire sulle periferie per garantire sviluppo armonico alle città. E soprattutto contrastare fenomeni di marginalizzazione, che alimentano il terrorismo, come aveva urlato ai quattro venti l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un intento pregevole, messo nero su bianco dal Governo, che ha pure predisposto degli appositi bandi. Peccato, però, che al momento di mettere in atto i buoni propositi, è intervenuta la mano armata di forbice per tagliare i fondi inizialmente stanziati. Con un risultato amaro per decine di amministratori: molti Comuni, che avevano presentato progetti meritevoli, non hanno beneficiato di alcun finanziamento, nonostante rispondessero a tutti i requisiti. E dire che per erogare quegli stanziamenti, sarebbe bastato non prosciugare la dotazione iniziale di quasi 200 milioni di euro (da spalmare su un triennio).
Genesi di un fattaccio – Il fattaccio è avvenuto con il bando per gli “interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree degradate” risalente al 2015. “La dotazione del Fondo per l’attuazione del Piano nazionale è 44 milioni e 138.500mila euro per il 2015 e di 75 milioni per gli anni 2016 e 2017”, spiega il Dipartimento delle Pari Opportunità. Insomma, un investimento complessivo superiore a 195 milioni di euro. Ma, tra una riduzione e l’altra, sono rimasti appena 78 milioni e mezzo di euro. Così circa 80 Comuni sono rimasti a bocca asciutta. Il segretario generale di Palazzo Chigi, Paolo Aquilanti, nel corso di un’audizione alla Camera, aveva riferito che erano stati ammessi alla valutazione di merito 400 progetti. La graduatoria ne ha bocciati altri 230. A quel punto è arrivato il colpo di grazia agli enti che si erano impegnati per ottenere gli stanziamenti. “I progetti che beneficeranno del finanziamento sono 46: ne restano esclusi circa 78, che sarebbero anche loro risultati vincitori, se le risorse a disposizione fossero rimaste quelle previste e stanziate dal bando”, ha denunciato Andrea Maestri, deputato di Possibile, che sul caso ha presentato un’interrogazione alla Camera.
Pallida speranza – Sulla carta sopravvive una pallida speranza, perché “gli ulteriori progetti potranno essere finanziati con le risorse eventualmente rese disponibili entro tre anni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale”, specifica la legge. Ma si tratta di un’ipotesi, non di un impegno. Il dubbio è rafforzato dall’approccio avuto con il successivo bando periferie, quello del 2016, che ha indicato una destinazione diversa: i fondi sono riservati alle “città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia”. In questo caso Palazzo Chigi è stato solerte: il fondo di 500 milioni è stato potenziato. Ma senza consentire il “ripescaggio” degli esclusi del bando 2015. Per questa ragione Maestri ha criticato il Governo: “Una riduzione così estesa, oltre a non essere stata sufficientemente giustificata, è incomprensibile soprattutto perché effettuata in seguito alla presentazione di un numero elevatissimo di progetti, con la consapevolezza di non rispettare le aspettative dei Comuni richiedenti”.