Michele Merlo poteva essere salvato. Ma i medici lo hanno rimandato a casa dopo il primo accesso all’Ospedale di Vergato. Una brutta storia, per la quale l’Ausl ha già aperto un’inchiesta interna con la quale vuole capire cosa è successo nella struttura dell’Appennino.
Perché Michele Merlo poteva essere salvato ma i medici lo hanno rimandato a casa
I vertici aziendali, che hanno espresso le proprie condoglianze ai genitori, aspettano entro le prossime 24ore una dettagliata relazione da parte di tutti gli operatori sanitari intervenuti a Vergato e Bologna. La famiglia Merlo non ha ancora presentato alcuna denuncia, ragione per la quale la Procura è ferma. Per ora si sono stretti nel loro dolore, non è momento di polemiche.
La direzione ha dato “mandato al risk manager aziendale di procedere ad attivare l’iter per un audit di rischio clinico”. A chiamare il 118, giovedì 3 giugno, sono stati degli amici a casa dei quali Michele stava cenando: hanno raccontato ai soccorritori che il cantante si era dapprima mostrato in stato confusionale, poi aveva avuto un attacco di convulsioni e, alla fine, si era accasciato. Il 28enne non si è più ripreso.
Sergio Amadori, ematologo dell’università di Roma Tor Vergata, spiega oggi in un’intervista a Repubblica che la leucemia acuta che causa emorragie, o leucemia promielocitica acuta, causa emorragie gravi ma il paziente, se preso in tempo, si può salvare. “La leucemia causa un crollo delle piastrine. Anziché avere un valore
normale, che può essere attorno a 200mila, chi ha la malattia può scendere a mille. Così un’emorragia al cervello può rivelarsi fatale”. Non ci sono segnali di allarme?
“Sì ci sono. Lividi che si formano senza motivo, sanguinamenti a naso, gengive, o nelle urine. Ci può essere un po’ di febbre, stanchezza, pallore. Il crollo delle piastrine viene messo in evidenza da un emocromo, un normale esame del sangue. Un medico che veda questi sintomi in genere chiede la consulenza di un ematologo, che procede con un esame del midollo e in un paio d’ore arriva alla diagnosi”.
Michele Merlo e i medici che lo hanno rimandato a casa
Amadori spiega che le cure “se somministrate in tempo sono efficaci. Quando l’ematologo arriva alla diagnosi di leucemia acuta promielocitica, il paziente viene trattato immediatamente con trasfusioni di concentrati piastrinici per frenare il rischio di emorragie. Poi si inizia la terapia per la malattia vera e propria, con un farmaco cosiddetto intelligente che ha portato la sopravvivenza dal 15-20% di 35 anni fa al 95% di oggi. E senza chemioterapia”.
Anche per Fabrizio Pane, ordinario di ematologia all’Università Federico II di Napoli, che ne ha parlato con il Corriere della Sera, si è trattato probabilmente di
leucemia acuta promieilocitica: “Un sottotipo di leucemia mieloide acuta, molto aggressiva perché spesso caratterizzata dalla comparsa di un’emorragia a livello cerebrale, come nel caso di questo sfortunato ragazzo. Se si ha il sospetto, per curarla può bastare una tempestiva somministrazione di acido retinoico, derivato della vitamina A che blocca l’arrivo delle complicanze. Ma in alcuni casi la loro comparsa è così rapida da impedire di arrivare a una diagnosi, vista anche la rarità della patologia. In media ci sono solo 150 casi l’anno in Italia”.