Gli alleati, per quanto importanti e utili siano, non sono tutti uguali. Questo almeno è quello che traspare dalla politica dei ‘due pesi e due misure’ che, ormai da tempo, viene perseguita da Washington in fatto di supporto militare a Israele, guidato dal discusso primo ministro Benjamin Netanyahu, e all’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Come noto, l’invio di armi a Kiev, malgrado le richieste del presidente Joe Biden, è stato tenuto in standby per sei mesi dal Congresso degli Stati Uniti, causando enormi difficoltà all’esercito ucraino nel contrastare l’offensiva delle truppe di Vladimir Putin, e solo di recente è stato sbloccato.
Proprio in virtù della drammatica situazione al fronte, con le difese dell’ex repubblica sovietica che ormai fanno fatica a contenere l’esercito russo, per diverse settimane il governo di Zelensky ha pressato Washington, arrivando a inviare una delegazione parlamentare al Congresso, al fine di convincere la riluttante amministrazione Biden a dare il via libera all’uso delle armi americane sul suolo russo, così da impegnare il Cremlino a difendersi oltreché attaccare.
Per Washington gli alleati non sono tutti uguali
Una richiesta su cui giovedì era arrivata anche la mezza apertura del segretario di Stato, Antony Blinken, secondo cui gli Stati Uniti sono contrari a simili operazioni, aggiungendo, però, che l’ultima decisione su come condurre la guerra spetterebbe a Zelensky. Peccato che nemmeno 24 ore dopo, la vice portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, ha detto chiaro e tondo che non è cambiata la posizione degli Usa in merito all’utilizzo delle armi fornite dagli Stati Uniti che “possono essere usate solo all’interno del territorio ucraino”.
Una dichiarazione che non ha fatto piacere a Zelensky che, letteralmente furioso, si è affrettato a rispondere di non credere “che dovrebbero esserci divieti, perché non si tratta dell’offensiva dell’esercito ucraino con armi occidentali sul territorio russo”, aggiungendo che gli attacchi che Kiev intende lanciare andrebbero a insistere nella zona grigia, da dove le autorità russe hanno evacuato i civili: “Non ci sono quasi civili dalla loro parte al confine, per ovvie ragioni”. Insomma, la sensazione è che il presidente ucraino – probabilmente messo alle strette per via della complicata situazione al fronte – questa volta voglia tirare dritto, ignorando il niet americano.
Tutti scontenti dopo le decisioni di Washington
Intendiamoci, quelle di Zelensky, almeno dal suo punto di vista, sono rimostranze più che comprensibili. Questo perché mentre Washington ribadiva la contrarietà alle sue richieste, per giunta dopo sei mesi di stop all’invio di armi, in contemporanea la Camera degli Usa, nonostante la sospensione decretata da Biden per via della mattanza nella Striscia di Gaza, dava il via libera all’invio di armi a Israele.
Un provvedimento, approvato dall’Aula a maggioranza repubblicana con 224 voti a favore e 187 contrari, che ha ribaltato completamente la decisione dell’inquilino della Casa Bianca. Cosa peggiore, l’atto varato dalla Camera di fatto costringe il presidente Biden a inviare armi a Israele, rimproverandolo per aver ritardato le spedizioni di bombe ad alta carica in risposta alle riluttanze di Tel Aviv nel proteggere i civili durante la guerra con Hamas.