di Carmine Gazzanni
Nell’epoca dello “spread”, del “ranking”, del “default” e dell’Europa Unita è bene che chi lavora a Montecitorio conosca a menadito la lingua inglese. Il dubbio, semmai, nasce se pensiamo che tale conoscenza non sia affatto acquisita ma da acquisire. E che chi pensa economicamente a farla acquisire siamo proprio noi. Difficile a credersi ma è proprio così. Pochi giorni fa, infatti, è stato indetto un bando per il “servizio di somministrazione di corsi di lingue per il personale della Camera dei deputati”. L’appalto, suddiviso in due lotti e della durata di quattro anni, potrebbe arrivare a costare addirittura un milione di euro tondo. Circa 250 mila euro all’anno. Mica bruscolini, insomma.
Ma facciamo un rapido calcolo. Come si legge nel bando, annualmente le lezioni tenute saranno 60. Soltanto una lezione, dunque, potrebbe arrivare a costare indicativamente quattro mila euro. Niente male per chi si troverà a vincere l’appalto. La questione, però, non finisce qui. La domanda che sorge spontanea, infatti, è anche un’altra. Com’è possibile che una delle istituzioni principe dell’apparato democratico si ritrovi a spendere una cifra del genere per una lingua che, almeno sulla carta, tutti i suoi dipendenti dovrebbero conoscere?
Il quesito non è affatto campato in aria. Basta prendere in mano un qualsiasi concorso per la selezione di dipendenti di Camera o Senato. Già nella domanda i candidati devono indicare “la lingua – scelta tra le seguenti: inglese o francese – nella quale intendono sostenere la prova scritta e la prova orale obbligatoria di lingua straniera”. E, come se non bastasse, se ne possono aggiungere altre, “scelte tra le seguenti: inglese, francese, tedesco o spagnolo”, ad esclusione di quella indicata per la prova scritta e la prova orale obbligatoria di lingua straniera, “nelle quali intendono sostenere la prova orale facoltativa di lingua straniera”. La domanda, allora, è capire quanto tali richieste siano semplicemente “prassi” e quanto realmente selettive. Rispondere ci aiuterebbe a capire. E a dare un senso ad un milione di euro di soldi pubblici.