La partita non è finita. Anche se i Cinque Stelle hanno segnato un punto pesante con l’emendamento di Giovanni Currò, che impone al ministero dell’Economia di presentare ogni 4 mesi al Parlamento una relazione con i nomi dei grandi debitori di Banca Carige. I quali, non restituendo i prestiti, hanno contribuito alla sofferenza dell’istituto ligure. Il prossimo passo sarà recuperare l’emendamento (dichiarato inammissibile) che punta ad aumentare la pene per i reati bancari.
La proponente, Vita Martinciglio, componente della commissione Finanze della Camera, del resto, non ha alcuna intenzione di alzare bandiera bianca. Anzi. “Stiamo parlando di uno dei pilastri della riforma in materia di banche e sistema finanziario che abbiamo in mente – spiega a La Notizia -. E riproporremo l’emendamento al primo provvedimento utile”. Più nello specifico, l’obiettivo è quello di innalzare le pene per alcune tipologie di reato: omessa comunicazione del conflitto di interessi bancario, false comunicazioni, illegale ripartizione degli utili e delle riserve, aggiotaggio e manipolazione del mercato, ma anche reati di altra natura che spesso si nascondono dietro l’attività bancaria, come il riciclaggio, l’autoriciclaggio e la truffa aggravata.
“Chi viene condannato per aver distolto i soldi dei risparmiatori non può farla franca, ma deve andare in galera”, promette la Martinciglio. Che elenca le altre misure targate 5S in materia bancaria. “Abbiamo approvato un fondo da 1,5 miliardi di europer risarcire obbligazionisti e azionisti truffati, contro i miseri 100 milioni del fondo istituito dal governo Gentiloni. Ma lo stesso intervento su Carige ci ha consentito di rientrare nella normativa europea sulla ricapitalizzazione precauzionale, che non sarebbe stata disponibile se la banca ligure fosse stata insolvente. Se basteranno 300 milioni di garanzie pubbliche bene, se servirà effettivamente la ricapitalizzazione lo Stato diventerà proprietario di Carige – conclude -. Niente più regali ad altre banche private sulle spalle di risparmiatori e contribuenti, come è successo in passato con le due banche venete, svendute ad Intesa al prezzo simbolico di un euro”.