Sarà conseguenza del fatto che ormai da tempo il Pd non ha una guida stabile, sarà (e sicuramente ha inciso) che la vicenda legata al Qatargate non ha aiutato. Certo è che il Partito democratico è ormai in caduta libera. Nella settimana che ha sconvolto l’Unione europea, il Pd crolla sotto al 15 per cento.
Nel Pd neppure la sfida congressuale tra Bonaccini e Schlein ferma l’emorragia. Il governatore è visto come la fotocopia di Renzi
È il dato registrato da Swg nel consueto sondaggio settimanale per il TgLa7, che stima i democratici al 14,7%, lo 0,4% in meno rispetto alla settimana scorsa: a un primo esame è il valore più basso mai registrato dal partito nelle rilevazioni demoscopiche nazionali. E si avvicina ai tre punti tondi il distacco dal Movimento 5 stelle, che guadagna lo 0,3% e sale al 17,4%.
Nel centrodestra si arresta la crescita di Fratelli d’Italia, che perde due decimi e scende al 30,6%, rimanendo comunque di gran lunga il primo partito nelle intenzioni di voto. Guadagna mezzo punto in un colpo solo invece la Lega (dall’8,5% al 9%) e Forza Italia sale di un gradino, dal 6,0% al 6,1%.
Un disastro evidente che tuttavia sarebbe forse sbagliato liquidare come semplice conseguenza di un episodio di cronaca (per quanto grave). Ormai il segretario dimissionario Enrico Letta, dopo la batosta delle elezioni politiche e gli enormi errori commessi proprio prima del voto del 25 settembre (errori che gli stessi parlamentari del Pd, quantomeno una buona parte, gli imputano), non ha praticamente più voce in capitolo all’interno del partito.
E il problema è che a quanto pare neanche i due candidati alla carica di segretario sembrano in grado di scaldare particolarmente i cuori degli elettori dem. Da una parte Stefano Bonaccini, dall’altra Elly Schlein. Il primo è visto dal mondo di sinistra come una sorta di reincarnazione di Matteo Renzi. E il fatto che il governatore dell’Emilia Romagna non voglia assolutamente chiudere con il Terzo Polo è testimoniato dal fatto che, a domanda precisa, non ha mai negato una possibile intesa con i centristi ponendoli di fatto sullo stesso piano del Movimento cinque stelle, nonostante al momento i pentastellati siano i maggiori rappresentanti delle istanze che tradizionalmente apparterrebbero alla sinistra.
E la Schlein? Probabilmente vive del problema opposto: considerata forse troppo a sinistra dall’establishment (cosa che ovviamente è un problema dell’establishment e non di chi prova a incarcare battaglie tradizionalmente appartenenti al mondo di sinistra), è vista – di contro e paradossalmente – poco affidabile anche dagli attivisti di quella stessa sinistra che non a caso la considerando una “radical chic”.
Insomma, una politica che sposa determinati temi senza che poi li abbia vissuti o sappia dove stiano di casa. Vero o meno che sia, il risultato è un partito allo sbando, con un candidato che magari piacerebbe a buona parte del partito (quello legato al mondo della fu Margherita) ma che non convince la base; e una candidata che vive del dilemma opposto: piace a buona parte del mondo di sinistra, ma è guardata con sospeso dall’establishment.
Il problema in realtà è che i nomi non fanno necessariamente un partito. Un partito che in realtà non ha mai superato il suo peccato originale: aver unito due mondi, quello di sinistra (ex Ds) e quello cattolico-democristiano (ex Margherita), che non hanno mai concretamente collaborato. E il tracollo di questi giorni ne è l’ennesima conferma.