Anche durante l’incontro che si è tenuto ieri tra il numero uno del Pd, Enrico Letta, e il leader di Italia viva, Matteo Renzi, è emersa la stessa identica preoccupazione che tiene banco in entrambi gli schieramenti. Ovvero cosa succederebbe qualora l’attuale premier traslocasse da Palazzo Chigi al Colle. E ancora una volta il segretario del Pd ha avanzato la richiesta che ormai da tempo va ripetendo come un mantra: serve un patto di legislatura fino al 2023.
Una richiesta che ha trovato d’accordo il senatore di Rignano: “Letta ha detto una cosa che condivido, facciamo un Patto di legislatura. È una cosa giusta, ha ragione. Sia che si vada su uno schema Draghi o su altro. In parole povere, facciamo per una volta gli interessi del Paese e poi riprendiamo a litigare”. Mentre Letta rimane più abbottonato sull’incontro avuto col leader di Iv, Renzi parla a raffica. Si parte dall’ipotesi dell’ex banchiere al Colle.
Definire il nuovo governo insieme alla candidatura di Draghi per il Quirinale “aiuterebbe, non tanto la composizione – dice Renzi – che la fa il presidente del Consiglio con il presidente della Repubblica, ma lo schema di gioco sì”. Per il senatore toscano, ad ogni modo, servirebbe un premier ‘istituzionale’, con Draghi al Colle. “Se poi i leader vogliono entrare entrano, sono fatti loro”.
Questo vorrebbe dire escludere nomi tecnici alla Vittorio Colao, che sarebbero diretta emanazione di Draghi. Si è fatta l’ipotesi Elisabetta Belloni: è molto stimata, ma sembra improbabile il salto dai Servizi segreti a Palazzo Chigi. Continuano a circolare i nomi di Marta Cartabia e Renato Brunetta. C’è chi ipotizza per Pier Ferdinando Casini la guida del governo. E chi non esclude ancora un politico alla Dario Franceschini.
Comporre poi il puzzle della squadra sarebbe ancora forse più complicato sia nel caso in cui si sostituiscano solo i tecnici sia che si faccia da zero. La Lega vuole il Viminale, ma potrebbe anche fermarsi alle Infrastrutture o la Difesa. E anche i centristi reclamano un posto al sole con un ministro con portafoglio e uno senza. Ma siamo alle solite fughe in avanti. Insomma, per sintetizzare al massimo sulla scia di quanto ha fatto Renzi, se c’è uno schema di gioco pronto per il dopo, allora l’operazione Draghi potrebbe diventare anche fattibile. Anche se bisognerebbe sempre tener conto delle resistenze della maggioranza dei pentastellati all’ipotesi Draghi e anche a quelle dei leghisti.
MAGGIORANZE VARIABILI. Sulle affermazioni dell’attuale premier alla conferenza stampa di fine anno, secondo cui la maggioranza di governo non reggerebbe una divisione sull’elezione del Presidente della Repubblica, Renzi dice di non essere del tutto d’accordo: “La maggioranza che elegge il Presidente non sempre è quella del governo. Ora per la prima volta abbiamo un governo di unità nazionale, quindi può essere che qualcuno si perde per strada, o che la Meloni entri”.
Ma Renzi non si ferma alla carta Draghi. Non esclude dalla rosa dei papabili neanche Casini: “è una buona idea, come Draghi e altri”, dice. “Ci sono 3 o 4 ipotesi – spiega- Agli italiani dico: è complicato ma giovedì o venerdì avrete un presidente”. Scartata l’ipotesi Berlusconi (“Non ha i numeri”) l’ex premier esclude anche il bis di Mattarella. “Avete visto con Napolitano, nel 2013 andarono tutti da lui a chiedere di farsi rieleggere, e poi durante il secondo mandato lo hanno massacrato. Mattarella non lo farà mai”.
VORTICE DI INCONTRI. Ma il piano per convincere l’attuale Capo dello Stato a restare non è affatto tramontato. Quella di ieri è stata una giornata fitta di incontri per Letta. Che, dopo Renzi, ha avuto colloqui con il gruppo parlamentare “FacciamoEco”, con il Psi e con i vertici di Svp e UV. Il ritornello del segretario del Pd non cambia: convergenza su un nome super partes e una figura istituzionale per il Quirinale, no al diritto di prelazione da parte del centrodestra e un patto di fine legislatura per garantire al Paese stabilità. Ma niente nomi.
I leader dell’ex fronte giallorosso attendono il vertice di oggi del centrodestra in cui dovrebbe arrivare il famoso passo di lato di Silvio Berlusconi. E successivamente le prossime mosse dello schieramento “avversario”. La coalizione, rivendica Salvini, ‘’avrà l’onore e l’onere di proporre per il Colle una candidatura di alto profilo’’. Il Pd però è stato abbastanza netto: i dem non voteranno mai un candidato di centrodestra.