Finirà con un patteggiamento della pena per gli ex proprietario dell’Ilva e la rabbia dei cittadini il processo Ambiente svenduto. Il caso, infatti si avvia alla conclusione escludendo la possibilità del risarcimento danni delle parti civili, che hanno avevano presentato un conto molto salato: in totale la richiesta ammontava 30 miliardi di euro. La Corte d’Assise ha rinviato il procedimento al 17 gennaio, quando l’avvocato Massimo Lauro di Roma, dopo aver valutato la documentazione, stabilirà il patteggiamento con la Procura di Taranto. La decisione ha provocato le proteste di molti tarantini, insieme ad alcuni militanti del Cobas, che hanno chiesto giustizia “per i bambini”.
Le società imputate, Ilva (ora in stato di amministrazione straordinaria), Riva Fire e Riva Forni, potranno cavarsela con molto meno grazie all’accordo trovato con il ministero dello Sviluppo economico, che garantisce il rientro di 1,3 miliardo di euro in Italia della famiglia Riva, attualmente depositato in un conto in Svizzera. La cifra sarà utilizzata per la bonifica dell’impianto siderurgico di Taranto. Dai Verdi è stata sollevata la protesta: “Perché i 2 miliardi di euro dei Riva, che nulla hanno a che vedere con 1,3 miliardi di euro sequestrati dalla procura di Milano per riciclaggio e frode fiscale, non sono stati sequestrati e perché non si è voluto quantificare il danno ambientale?”, ha dichiarato il portavoce del partito ecologista Angelo Bonelli.
Il 17 saranno anche formalizzati i patteggiamenti, già depositati, delle società Ilva e Riva Forni. Nel primo caso la questione sarà chiusa con la confisca di 241 milioni di euro, mentre per l’altra azienda la vicenda sarà archiviata con il pagamento di una sanzione di 2 milioni di euro. Le richieste saranno valutate da un collegio di giudici nominati dal presidente del tribunale di Taranto.