In effetti una patata bollente adesso c’è davvero ed è quella che si ritrova a maneggiare l’incauto Vittorio Feltri dopo la richiesta da parte del Pm della procura di Catania di 3 anni e 4 mesi per il titolo di un articolo pubblicato su Libero nel 2017 (leggi l’articolo) ed avente per tema e evidente doppio senso la sindaca di Roma Virginia Raggi. Una richiesta di pena importante che se irrorata potrebbe mandare in carcere Feltri riaprendo un annoso dibattito.
La sindaca di Roma ha replicato su Facebook “Un’offesa all’intelligenza. Vittorio Feltri non ha offeso solo me ma ha offeso tutte le donne” ed ancora: “Tra pochi giorni, il 5 ottobre, i giudici si riuniranno per decidere ma Feltri continua a utilizzare il suo quotidiano per le proprie battaglie personali”. Ed in effetti la Raggi fa un’affermazione non solo condivisibile, ma anche esegetica per la delicatezza delle tematiche investite. Chiamare una donna, in più con un importante ruolo pubblico, “patata bollente” pone un problema di limiti e di correttezza comunicativa.
NON SOLO UNA GOLIARDATA. Dietro quell’epiteto non si nasconde infatti una goliardata, ma un vero attacco sessista per di più a sfondo squisitamente sessuale perché è del tutto evidente che il termine non si riferisce al tubero – come ha provocatoriamente e beffardamente ancora ribadito il giornalista – ma all’organo sessuale femminile. E poiché la libertà di esprimere le proprie valutazioni ed opinioni su qualsiasi argomento cozza costituzionalmente con quella di tutelare la reputazione di una persona, ha fatto bene la procura a chiedere una condanna in un certo senso esemplare.
Si tratta di becero sessismo da strada con evidenti funzioni di gogna mediatica e non di affermazione di una propria valutazione soggettiva di fatti o eventi. Si tratta –parimenti- di un giornalismo aggressivo e violento che va a colpire sessualmente una donna che lavora. E la toppa di Feltri – e cioè che quel titolo l’avevano fatto anche con Ruby e all’epoca nessuno se ne interessò – è peggio del buco. Feltri ci sta quindi semplicemente dicendo che è un recidivo dell’epiteto ingiurioso anche se lui lo vuole tardivamente strumentalizzare con il fatto che Ruby “era straniera”. Ruby fu colpita – proprio come la Raggi – perché stava inguaiando Berlusconi e fu bastonata anche lei su un punto particolarmente sensibile di una donna e cioè la sua sessualità.
LA LEZIONE. Si tratta di un giornalismo che giornalismo non è più. È bastonatura del più debole che –a mezzo stampa- non si può difendere né contrattaccare. Il 5 ottobre prossimo i giudici decideranno se accogliere o meno la richiesta del Pm, ma resta il fatto che questa deve essere una occasione per purificare certa aria mefitica che si respira in certo giornalismo ormai da molti anni. Deve passare finalmente il concetto di dignità degli esseri umani e di rispetto anche per l’avversario politico che non va ad ogni costo demonizzato o sberleffato per solleticare gli istinti più bassi di un pubblico abituato ad un giornalismo truculento.
Ricordiamo che Feltri fu radiato nel 2000 dall’ordine dei giornalisti per la pubblicazione di foto choc di pedofilia e che la condanna fu tramutata in censura nel 2003. Sarebbe ora che Feltri capisse che anche lui è soggetto alla legge, proprio come qualsiasi altro cittadino e qualsiasi altro giornalista e prendesse esempio dai grandi maestri del passato come Enzo Biagi che le cose le diceva senza sconti, ma con un linguaggio rispettoso, pur venato da una certa ironia descrittiva. Esattamente il contrario di Vittorio Feltri.