Secondo molti politici, agli italiani interessano le bollette e il costo della vita, non certo la legge elettorale. Eppure lei, prof Passigli, sostiene che è questa la priorità.
“Chi fa politica dovrebbe avere a cuore che i cittadini partecipino alla cosa pubblica recandosi a votare. Se più del 40% dichiara di voler disertare le urne è perché molti elettori pensano di non contare, e la loro scelta, qualunque essa sia, non avrà efficacia. Questo è l’effetto dell’attuale legge elettorale, ed è un grave errore far finta di niente”.
Stefano Passigli, ex parlamentare del Pd, professore di Scienze politiche, è tra coloro che denunciano da tempo l’inadeguatezza del Rosatellum.
“Perché i sistemi elettorali funzionino è necessario che la politica abbia una visione comune sulle istituzioni, sulla politica estera, sulla Giustizia, sulle politiche economiche di lungo termine, come si può considerare il Pnrr. Questo evidentemente non è il caso italiano, dove ci si è rifugiati in un sistema parzialmente maggioritario, che però per la sua natura offre risposte di breve periodo, favorendo le divisioni persino nelle stesse coalizioni elettorali”.
Le risposte di breve periodo sono perfette nell’epoca dei Social.
“Sì, ma non ci si risolvono i problemi strutturali. E i politici con la bacchetta magica esistono solo su TikTok”.
Anche il proporzionale puro ha dato i suoi problemi.
“Mah, intanto non ha stravolto l’orientamento degli italiani, che per effetto delle alleanze elettorali di comodo, pur in una situazione di sostanziale parità nei voti assoluti, vedono andare in Parlamento molti più eletti tra i partiti che si sono coalizzati, anche se un minuto dopo le urne tornano a dividersi”.
L’idea di fondo era di semplificare il quadro politico, favorendo le aggregazioni.
“E abbiamo visto i risultati. L’esplodere delle mode del momento, dal 40% di Renzi alla vittoria dei Cinque Stelle nel 2018, dalla crescita di Salvini alle europee prima del Papeete alla valanga attesa adesso dalla Meloni testimoniano che l’elettorato disperato si butta da un partito all’altro, per poi pentirsene in quanto non c’è modo di governare con politiche di lungo respiro, capaci di aggiustare sul serio questo Paese”.
La Meloni infatti va oltre il sistema elettorale e punta dritta a quello istituzionale con la ricetta del presidenzialismo.
“Che funziona – e non sempre – dove ci sono pesi e contrappesi che in Italia non abbiamo”.
Dove non ha funzionato?
“Le faccio un esempio concreto. Bush jr. – che fu eletto per un minimo scarto di voti, grazie ai quali si aggiudicò tutti i cinquecento grandi elettori della Florida – non ebbe l’intelligenza del padre nello sconfiggere Saddam senza smembrare lo Stato iracheno. L’effetto fu il dilagare del terrorismo. Più disastro di così?”.
In Germania hanno una legge elettorale proporzionale con i collegi uninominali, come in Italia.
“Una legge che non prevede i candidati paracadutati, ma anzi conta molto il rapporto tra elettori ed eletto”.
Quello che in teoria garantiscono le preferenze. Le rimettiamo? Con i “costi” anche dal punto di vista della legalità che hanno sempre avuto, non solo al Sud?
“Ci sono tante soluzioni per legare gli eletti ai loro collegi, comprese le primarie. Di sicuro la politica soffre senza un rapporto diretto tra rappresentante e rappresentato”.
Rapporti che hanno creato un ceto politico, con signori rimasti tutta la vita in parlamento. Che ne pensa della scelta dei 5S di limitarsi a due mandati?
“Penso che debbano sempre essere i cittadini a decidere, e se un loro rappresentante è gradito oltre i due mandati deve poter continuare a svolgere la funzione che gli viene affidata dal voto popolare”.