Tra i partiti è scattata la corsa alla sopravvivenza politica, che come traguardo ha una grande ammucchiata: a sinistra come a destra, ma soprattutto al centro, dove bisognerà mettere insieme tutti, ma proprio tutti, per riuscire a entrare di nuovo in Parlamento. Con la soglia di sbarramento al 5%, infatti, molti piccoli soggetti hanno cominciato a ragionare su come organizzarsi per non sparire dalla geografia politica del Paese, eludendo il tentativo di Partito democratico e Forza Italia di cannibalizzare i voti dei “cespugli”. Che puntano ad assumere la forma di un arbusto più solido, capace di conquistare molti seggi. Magari dividendosi un minuto dopo la chiusura delle urne.
Grande centro – Per anni gli eredi della tradizione democristiana hanno prospettato la necessità di costruire un Grande Centro, che fungesse da ago della bilancia in un sistema bipolare. Ma quella stagione è ormai archiviata: il ritorno al proporzionale, nonostante la spruzzata di sistema tedesco, richiede un netto cambio di passo. Il capofila dei centristi in cerca di alleanze è inevitabilmente il ministro degli Esteri, Angelino Alfano. Il suo partito Alternativa popolare avrebbe difficoltà anche a a superare il 3%. Figurarsi il 5%. Nell’area moderata e conservatrice il parterre è davvero ricco: anche un altro ex berlusconiano, Raffaele Fitto, deve trovare una collocazione al suo movimento Direzione Italia (Dit). E che dire dell’Udc di Lorenzo Cesa, reduce dalla spaccatura con i Centristi per l’Italia di Pier Ferdinando Casini? Lo sbarramento al 5% impone un’inversione di rotta e quindi la necessità di ricucire. Per tutti loro è complicato provare a tornare alla base, cercando ospitalità nelle liste di Forza Italia. Per questo si valuta l’ipotesi di Stefano Parisi, ex candidato sindaco a Milano e fondatore di Energie per l’Italia, come un federatore di un “centrino”. Lui parla di “soggetto nuovo”, ma nello specifico serve una base di voti e strutture. E nel gruppone centrista c’è anche il movimento Identità e azione, Popolo e Libertà, racchiuso nella sigla di Idea, che fa riferimento all’ex ministro Gaetano Quagliariello e Scelta Civica di Enrico Zanetti. Nell’ammucchiata c’è spazio pure per loro. Mentre l’Alleanza liberalpopolare-Autonomie (Ala) di Denis Verdini vuole piazzare qualche candidato in uno dei principali partiti.
Tutti a sinistra – Al di là del Pd c’è una sinistra che vuole dimostrare di essere viva. Il Movimento democratico e progressista (Mdp) si candida al ruolo di pivot, portando in dote la base scissionista dei dem. Sinistra italiana di Nicola Fratoianni, che alla Camera ha già formato un gruppo unito a Possibile di Pippo Civati, sta avviando le operazioni di avvicinamento a Mdp, in cui c’è anche la pattuglia di Arturo Scotto, che fino a febbraio era capogruppo alla Camera proprio di Sinistra italiana. A quasi quattro mesi dalla scissione, bisogna prendere ago e filo per rammendare lo strappo. Magari sfruttando l’abilità sartoriale dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, candidato perfetto per un cartello progressista alternativo al Pd. Che deve evitare l’incubo della Sinistra Arcobaleno, il cartello di bertinottiana memoria che subì una batosta nel 2008.
Sovranisti – Sul versante opposto ci sono i sovranisti: il modello tedesco potrebbe favorire l’unione elettorale tra i secessionisti della Lega di Matteo Salvini e i nazionalisti di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. A cui potrebbe aggregarsi anche la Destra di Gianni Alemanno e Francesco Storace. Un’unica sigla per ambire addirittura a sfiorare il 20%. Facendosi beffe dello sbarramento voluto da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, con la benedizione di Beppe Grillo.