Ci sono quattro paesi europei che sono già avanti nella preparazione dei Recovery Plan. Ma tra questi – sorpresa – non c’è l’Italia. Si tratta di Portogallo, Spagna, Francia e Grecia. E sono loro che potrebbero essere i primi a presentare la versione definitiva già la prossima settimana. Non solo. Bruxelles ha fatto sapere che già a luglio di quest’anno saranno disponibili 45 miliardi ma i paesi che presentano i loro progetti in ritardo, rischiano di dover attendere settembre.
Per l’Italia sono in ballo 27 miliardi. E anche la Bce ha invitato a non accumulare ritardi per non tradire i mercati. Ma a due settimane dall’invio a Bruxelles del Piano nazionale di ripresa e resilienza “non se ne parla affatto, io sto cercando notizie ma non ne trovo”, ha dichiarato mercoledì Romano Prodi. Come dargli torto. Eppure l’Italia ha promesso, con Mario Draghi stesso (leggi l’articolo), che consegnerà il suo piano in tempo per la scadenza prevista, cioè fine aprile, e questo forse spiega l’attivismo delle ultime ore dell’ex banchiere.
Il via libera del Consiglio dei ministri al Recovery Plan dovrebbe arrivare la prossima settimana ma prima il premier ha convocato i partiti di maggioranza e opposizione. Ieri è toccato a M5S e Lega, venerdì Pd e FI, lunedì Iv, Fdi, martedì Leu e gli altri gruppi. E poi c’è il confronto con gli enti locali che in questi giorni stanno incontrando i singoli ministri e che pretendono di venir coinvolti. Il presidente del Consiglio dovrebbe illustrare il piano alle Camere il 26 e il 27 aprile.
Interesse di Draghi è ottenere un consenso quanto più ampio da parte dei partiti anche considerando che il dibattito in Parlamento sarà, a dir poco, sacrificato. E deputati e senatori al pari degli enti locali ma anche delle parti sociali e dei ministri (vedi la questione della governance) non intendono rimanere ai margini. Ma il tempo effettivamente non c’è e la sintesi sul Recovery Plan non è tra le più facili per il premier.
“Abbiamo concentrato la discussione sulle nostre proposte a partire dal Superbonus e dalla necessità che sia prorogato al 2023 come il Parlamento ha richiesto”, ha detto Vito Crimi, capo politico reggente del M5S. E ancora: “Che ci siano interventi per ripristinare anche le pari opportunità e che la transizione ecologica sia un atto coraggioso”. La delegazione della Lega (orfana del leader Matteo Salvini “ufficialmente” rientrato a Milano per impegni familiari) avvisa: “Sul Recovery Plan riteniamo che la delega al governo non sia in bianco: vogliamo dare indicazioni. Sono tantissime le proposte, come su transizione ecologica e automotive”, dice il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari.
“Chiediamo investimenti ma anche di cambiare le regole, rivedere – ma non cancellare – il codice degli appalti”, aggiunge il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo. Draghi replica al Carroccio con la richiesta di “unità”. Intanto il ministro dell’Economia Daniele Franco parla di shock. Il perimetro del Recovery Plan sarà di 222 miliardi, di cui 169 aggiuntivi rispetto alla programmazione esistente, scrive il numero uno di via XX Settembre nel Def, specificando che il Piano potrà contare anche su fondi nazionali. A tali risorse si aggiungeranno 15 miliardi provenienti dalle altre componenti del NGEU, come il React Eu.
In totale si arriva quindi a 237 miliardi. “Si tratta – scrive Franco – di un piano di rilancio, di uno shock positivo senza precedenti nella storia recente”. Ma nella maggioranza non mancano tensioni. Dal Recovery plan alle polemiche sul ministro Speranza, dalle riaperture al decreto Imprese (si discute se utilizzare come parametro per i ristori il calo del fatturato o i dati sui bilanci come chiede la Lega) il confronto è aperto. Fin troppo.