di Stefano Sansonetti
Alla fine il presidente del consiglio, Enrico Letta, e il ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, hanno scoperto le carte sulla prima puntata delle vendite di Stato. E così è pronta a partire una nuova operazione Britannia, dal nome del panfilo della regina Elisabetta sul quale si gettarono le basi delle privatizzazione nostrane degli anni ‘90. Sul mercato, nei prossimi mesi, finiranno quote di Eni, Sace, Fincantieri, Cdp Reti (la società che ha in pancia il 30% di Snam), Stm, Tag (il gasdotto controllato dalla Cassa depositi e prestiti) e Cento Stazioni (del gruppo Fs). In ballo, in base a quanto annunciato ieri dal governo, ci sarebbero tra i 10 e i 12 miliardi di euro, risorse che dovrebbero aiutare i conti pubblici nostrani a fare bella figura davanti alle istituzioni comunitarie e a ricapitalizzare la sbilanciata Cassa depositi e prestiti. Come nella “migliore” tradizione delle privatizzazioni nostrane, però, nel programma spuntano fuori operazioni di ingegneria finanziaria e nomi di società che, almeno a una prima occhiata, non sembrerebbero godere di un grande appeal presso gli investitori. Il tutto per una partita che, con le condizioni di mercato attuali, corre il rischio di tramutarsi in una maxisvendita, pur di incassare nel minor tempo possibile.
I pezzi pregiati
Cominciamo dagli obietti più consistenti. L’esecutivo ha intenzione di cedere il 3% di Eni, da cui si attende un incasso di circa 2 miliardi. E’ tutto un programma, però, il modo in cui il Tesoro vuole condurre in porto l’operazione. Il meccanismo si chiama buyback, tecnicamente un’operazione di riacquisto di azioni proprie. Al momento il dicastero di via XX Settembre controlla direttamente il 4,34% del colosso petrolifero guidato da Paolo Scaroni e indirettamente il 25,76% che è in pancia alla Cassa depositi e prestiti, a sua volta controllata all’80% dal Tesoro. Ebbene, per cedere il 3% del Cane a sei zampe il governo mette l’Eni nella condizione di acquistare sul mercato azioni proprie per circa 7 miliardi di euro. Si tratta, appunto del buyback che porterà la società di Scaroni ad annullare le azioni così incamerate. E far sì, per questa via, che Tesoro e Cassa depositi si ritrovino con le loro quote gonfiate. L’Eni già oggi ha una piccola parte di azioni proprie. Per venire incontro alle esigenze del Tesoro si calcola che la società dovrà acquistare sul mercato poco meno del 10% di azioni proprie, spendendo la bellezza di 6-7 miliardi di euro. A quel punto le quote direttamente e indirettamente possedute dal Tesoro salirebbero a un totale di oltre il 33%. Condizione che consentirà a via XX Settembre di mettere sul mercato il 3% senza scendere sotto la strategica soglia del 30%. Uno stratagemma finanziario, quindi, che tra l’altro ieri è stato annunciato da Letta e Saccomanni a mercati aperti. Non proprio un comportamento da manuale, se proprio si volesse utilizzare la lente d’ingrandimento. Ieri il titolo Eni ha chiuso in borsa in flessione dello 0,44%.
Le altre società
Di sicuro fa un certo effetto vedere nell’elenco delle cessioni del governo il 40% dell’Enav, la società che gestisce il traffico areo, finita in tempi non proprio remoti in scandali e appaltopoli varie. Qualche osservatore, ieri, la metteva in battuta: “E chi se la compra?” Ma forse Letta ha già in mano il potenziale acquirente. O almeno c’è da sperarlo. Sicura appetibilità, invece, ha la Sace, la società di assicurazione dei crediti all’export guidata da Alessandro Castellano. In vendita anche la Fincantieri di Giuseppe Bono. Nel dettaglio il governo avrebbe intenzione di cedere il 60% di Sace e il 40% di Fincantieri, ora entrambe controllate dalla Cassa Depositi. Un boccone interessante, ma fino a un certo punto, potrebbe essere il 50% di Cdp Reti, la società sempre controllata dalla Cassa depositi e prestiti che ha in pancia il 30% di Snam (rete del gas) e che in prospettiva potrebbe acquisire una quota di Terna (rete di trasmissione dell’energia elettrica), il cui 29,9% oggi è direttamente detenuto dalla Cassa medesima. In vendita anche Tag, il gasdotto a metà strada tra Austria e Italia che per il tramite di Cdp Gas fa ancora una volta capo alla Cassa Depositi presieduta da Franco Bassanini e guidata dall’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini. A completare il quadro c’è il progetto di mettere in vendita il 60% di Grandi Stazioni, la società del gruppo Ferrovie dello Stato che si occupa di riqualificare, valorizzare e gestire le tredici principali stazioni ferroviarie italiane. Infine va sul mercato pure Stm, azienda italo-francese che produce componenti elettronici. In quest’ultima il Tesoro italiano detiene il 50%. Nei prossimi mesi si aprono le danze.