di Vittorio Pezzuto
Se fosse un’azienda privata avrebbe già chiuso. Sarebbe infatti impossibile reggere il mercato con un ritmo di lavoro così blando e un indice di produttività a dir poco imbarazzante, tenuto conto di quanto costano gli stipendi dei suoi 948 altissimi dirigenti, dei complessivi 2.374 dipendenti a tempo indeterminato (con retribuzioni fuori mercato, benefit e quindicesima mensilità inclusi) così come delle diverse centinaia di lavoratori a contratto (o che spesso ne sono privi perché pagati in nero). Trattandosi però del Parlamento italiano, una simile azienda può continuare a restare in piedi perché tanto i suoi azionisti sono obbligati a pagarne le spese.
Eccesso di ottimismo
E dire che le dichiarazioni dei due nuovi “amministratori delegati” Laura Boldrini e Pietro Grasso ci avevano illuso sulla possibilità di un cambiamento. Con l’entusiasmo dei neofiti, lo scorso 19 marzo i neopresidenti di Camera e Senato avevano infatti annunciato «una più alta produttività delle Camere. Le ore di lavoro devono passare da 48 a 96, lavorando dal lunedì al venerdì. E si potrebbe fare che di più». Da allora invece nulla è cambiato e loro stessi ben poco hanno presieduto.
Al dire il vero la presidente della Camera è attivissima, soprattutto nella comunicazione. Sono ben pochi i giorni in cui non si possa apprezzare qualche sua dichiarazione sui temi di stringente attualità (compreso quello della tutela della sua immagine dai teppisti del web) ma non vorremmo che alla fine debba scontare anch’ella la triste parabola toccata ai suoi assai loquaci predecessori Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini. Anche il presidente Grasso ama intervenire a piacere sui temi più differenti e un siffatto attivismo lo espone inevitabilmente a qualche scivolone. Come quando, alcuni giorni or sono, ha dichiarato ai microfoni di “Radio Anch’io” che «dei senatori a vita se ne può fare a meno, anche perché si tratta di una nomina che risale al periodo regio». Il presidente della Repubblica non ha per nulla apprezzato ma si sa, quando c’è poco da fare il tempo in qualche modo va impiegato.
Lavori a rilento
L’assemblea di Palazzo Madama non si riunisce da mercoledì scorso, quando ha eletto a scrutinio segreto altri tre segretari nell’ufficio di presidenza (così accogliendo la richiesta di integrazione avanzata pro domo eorum dal gruppo Misto, dal gruppo per le Autonomie e dal gruppo Grandi autonomie e Libertà) e ha ascoltato l’intervento del senatore genovese Maurizio Rossi che ha chiesto e ottenuto un minuto di raccoglimento per le vittime della tragedia avvenuta nel porto del capoluogo ligure. Questa mattina l’ordine del giorno della ventunesima seduta sarà altrettanto impegnativo, prevedendo come unico punto la discussione di una mozione che Claudio Micheloni (Pd) e una pattuglia trasversale di suoi colleghi hanno presentato sulla fondamentale questione dell’istituzione del Comitato per le questioni degli italiani all’estero. Si chiede in sostanza di ripristinare un ennesimo organismo interno e per meglio invogliare l’assemblea a una rapida approvazione nel testo si ricorda come nella scorsa legislatura i suoi componenti (i sei senatori eletti all’estero e altri otto senatori nominati dal Presidente sulla base delle designazioni dei Gruppi, in ragione della consistenza dei Gruppi stessi) abbiano svolto accurati sopralluoghi nei principali Paesi d’accoglienza dell’emigrazione italiana «per verificare la situazione delle comunità italiane residenti all’estero al fine di acquisire elementi conoscitivi sulle problematiche e le aspettative delle stesse e di contribuire alla loro soluzione con interventi sulle autorità locali e sulle istituzioni nazionali, anche attraverso proposte di iniziative legislative». Se per lorsignori c’è insomma di che viaggiare, per noi ci sarebbe invece di che riflettere sulla priorità che un provvedimento del genere possa avere per i cittadini italiani che, non avendo la fortuna di vivere e lavorare all’estero, da mesi aspettano decisioni concrete che possano arginare la crisi economica.
A Montecitorio il ritmo è altrettanto frenetico. Questa mattina i deputati si riuniranno in aula per la quindicesima volta, rinfrancati nelle forze e nello spirito dal week-end iniziato mercoledì scorso (anche se va precisato che quei “crumiri” dei componenti della Commissione Bilancio e Tesoro si sono riuniti anche giovedì e venerdì). La seduta dell’8 maggio li aveva lasciati quasi sfiniti: all’ordine dei lavori vi erano infatti un’informativa del ministro Lupi sulla tragedia di Genova nonché lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (sugli abusi edilizi in Campania, sui lavoratori esodati non ancora salvaguardati e sul ripristino delle risorse compensative da destinare alle comunità locali interessate dalla Tav Torino-Lione). Questa volta, dopo aver ascoltato gli ultimi interventi in sede di discussione generale, dovranno votare nel primo pomeriggio la conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali”. Uno sguardo al proprio capogruppo prima di premere uno dei tre pulsanti a disposizione, e poi via (a casa o in albergo).
Tsunami prosciugato
Qualcuno potrebbe obiettare che il Parlamento lavora poco perché da pochissimo sono state istituite le commissioni permanenti. E che queste ultime a loro volta poco hanno da dibattere e votare anche perché il Governo Letta nulla ha finora trasmesso alla loro attenzione. Vero, verissimo. Ma intanto l’attività di un parlamentare è essenzialmente quella di avanzare proposte di legge e finora ne sono state presentate 918 alla Camera e 585 al Senato. Davvero pochine, tenuto conto che molti di questi testi non sono altro che la fotocopia di quelli presentati nella scorsa legislatura. Maliziosi come siamo, abbiamo verificato in particolare la produttività del Movimento 5 Stelle, che per due mesi ha predicato la centralità del Parlamento e incalzato tutti gli altri a lavorare come matti anche in assenza di un Governo. Dati alla mano, sembra però che lo tsunami pentastellato sia stato prosciugato dalle sabbie mobili di Camera e Senato. Le poche tracce che testimoniano l’irruzione nel Palazzo di 109 deputati e 53 senatori grillini si limitano per il momento a 8 proposte di legge alla Camera, a 21 disegni di legge al Senato e a complessivi 76 atti ispettivi (tra mozioni, interrogazioni e interpellanze). Troppo poco per aprire il Parlamento come una scatola di sardine ma abbastanza per partirsene anche loro il giovedì sera (trolley alla mano e zaino in spalla) alla volta dell’agognato week-end…