Parlamento, a metà legislatura siamo già a 59 cambi di casacca

Il trasformismo parlamentare rallenta ma non si ferma: 59 cambi di casacca, con Forza Italia maggiore beneficiaria.

Parlamento, a metà legislatura siamo già a 59 cambi di casacca

Nel Parlamento italiano il trasformismo non è mai stato un vizio solitario. È una pratica di gruppo, quasi un rituale collettivo che si ripete di legislatura in legislatura. Si chiama cambio di gruppo, ma è molto di più: è la cartina di tornasole della stabilità politica, il segno del tempo che passa e delle convenienze che cambiano. Anche stavolta, a metà legislatura, il rito si è consumato. Ridotto nei numeri, certo, ma non cancellato.

Sono 59 i cambi di gruppo registrati dall’inizio della XIX legislatura fino ad aprile 2025. Una cifra che, a leggerla così, sembra modesta. Nel quinquennio precedente erano stati 464, nella XVII legislatura addirittura 569. Numeri che raccontano un passato recente in cui la politica italiana si muoveva come su sabbie mobili, tra maggioranze incerte e opposizioni ballerine. Ora, con una maggioranza netta uscita dalle urne, il mercato delle vacche sembra più contenuto.

Ma sarebbe un errore liquidare tutto come fisiologia parlamentare. Perché se il numero dei cambi si è ridotto, la direzione resta sempre la stessa: si passa dall’opposizione alla maggioranza. Sono nove i parlamentari, stando ai dati di Openpolis, che hanno fatto questo tragitto, contro solo due che hanno osato l’inverso. E a beneficiarne è stata soprattutto Forza Italia, che ha guadagnato otto seggi. Una silenziosa espansione che rafforza la compagine di governo mentre il Movimento 5 stelle, in caduta libera, ha perso quattro rappresentanti. Fratelli d’Italia, Lega e Partito democratico ne hanno persi uno a testa. Il pendolo oscilla sempre verso chi governa.

I regolamenti non fermano le migrazioni

Il motivo di questa apparente calma non sta solo nella stabilità elettorale. Conta il taglio dei parlamentari, scesi da 945 a 600, che ha ridotto le pedine disponibili. Conta anche il nuovo regolamento del Senato, che ha introdotto disincentivi per i trasformisti: chi cambia gruppo rischia di perdere incarichi e vantaggi economici. Una misura che ha frenato i movimenti a Palazzo Madama, ma non alla Camera, dove le contromisure restano sulla carta.

La cronaca recente racconta storie note. Annamaria Furlan, ex segretaria della Cisl, ha lasciato il Partito democratico per Italia viva. Aurora Floridia ha abbandonato il gruppo misto per il gruppo delle Autonomie. Giusy Versace è passata da Azione a Noi moderati, transitando per il misto, in una lenta gestazione del riposizionamento. Anche Andrea De Bertoldi, ex Fratelli d’Italia, ha preso la via del misto per approdare alla Lega. E Davide Bellomo ha seguito il flusso opposto, dalla Lega a Forza Italia. Un tragitto che sembra ormai codificato: prima si staziona nel misto, poi si sceglie la nuova casa politica. Il misto come sala d’attesa del potere.

Chi viene e chi va

Tra i più navigati ci sono i parlamentari che hanno cambiato gruppo più di una volta in questa legislatura: nove in tutto. Aboubakar Soumahoro, Eleonora Evi, Isabella De Monte, Lorenzo Cesa, Luigi Marattin, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna – recentemente nominata segretaria di Noi moderati – si muovono da una sponda all’altra con la disinvoltura di chi conosce bene le regole non scritte di questo gioco.

Alla fine, il saldo è chiaro: la maggioranza si è rafforzata. E Forza Italia, con un colpo di mano burocratico, ha guadagnato un seggio in più grazie al riconteggio dei voti in Calabria, che ha portato Andrea Gentile in Parlamento a scapito di Elisa Scutellà del Movimento 5 stelle. Un premio alla perseveranza, si direbbe, se non fosse l’ennesima prova di come le maglie della rappresentanza possano essere stirate fino a deformarsi.

Intanto, il trasformismo resta il termometro della politica italiana. Misura la febbre di chi cerca riparo sotto le ali del potere, soprattutto quando le urne si avvicinano e le convenienze si ridisegnano. Per ora la temperatura sembra sotto controllo, ma l’aria di fine legislatura potrebbe riaccendere il mercato. E allora, come sempre, il Parlamento diventerà di nuovo terra di migrazioni, senza rotta ma con una bussola ben chiara: quella del potere.