In una campagna elettorale in cui i partiti parlano pochissimo di mafia se a pronunciarla è una giornalista accade che i politici corrano a preparare le carte per le querele. Sara Manisera è una giornalista freelance che da anni si occupa di criminalità organizzata, medio oriente, condizione femminile. È conosciuta a livello nazionale e internazionale.
Alla giornalista Sara Manisera il premio Tajani per il suo impegno contro le mafie. Mentre il Comune di Abbiategrasso le fa causa
Lo scorso 8 giugno le è stato assegnato il “Premio nazionale Diego Tajani” per il giornalismo d’inchiesta nella sezione giovani. Sul palco con lei c’era il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, lo scrittore Antonio Nicaso e l’esperto di mafie il dottor Isaia Sales.
Durante il suo intervento Manisera ha affrontato il tema delle mafie al nord – la giornalista è di Abbiategrasso -, pronunciando questa frase: “Ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, ho visto le mafie entrare nel Comune, negli appalti pubblici, e soprattutto dentro il cemento, perché alle mafie una cosa che piace tanto è il cemento, i centri commerciali”.
Niente di nuovo per chi da anni legge le inchieste e le condanne di una Lombardia colonizzata dalle mafie. Il sindaco di Abbiategrasso ascolta le parole della sua celebre concittadina. Ci si aspetterebbe che un politico di fronte alle parole di una giornalista decida di cogliere la palla al balzo per organizzare un dibattito pubblico o che approfitti dell’occasione per illustrare le misure messe in campo dalla sua amministrazione.
Niente di tutto questo, il sindaco Francesco Cesare Nai riunisce la Giunta comunale e decide di denunciare per diffamazione: “è un atto dovuto per tutelare l’onorabilità del Comune e dei dipendenti pubblici”, spiega. Come se l’onorabilità di una città rischiasse per le parole di una giornalista. Nessuna dialettica, come ci si aspetterebbe tra stampa e istituzioni.
“Non ho ancora ricevuto la notifica ma gli avvocati sono fiduciosi”, spiega la Manisera. “Ribadisco – continua – che le mie parole si riferivano al territorio comunale di Abbiategrasso – e su questo ci sono tanti elementi (provati anche da sentenze penali, ricerche universitarie, report dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata) che dimostrano la presenza di clan e di esponenti di organizzazioni di stampo mafioso sul territorio abbiatense da decenni”.
Il Pd locale e il M5S sono usciti con un comunicato congiunto per esprimere solidarietà. Pezzi dell’antimafia lombarda si sono messi subito a disposizione insieme all’Osservatorio sui giornalisti vittime di intimidazione e sulle notizie oscurate con la violenza.
Eppure il sindaco Nai dovrebbe ricordarsi che proprio sul suo territorio hanno fatto rumore due anni fa i concerti (poi saltati) dei “cantanti” neomelodici Vincenzo “Niko” Pandetta e Filippo Zuccaro (in arte “Andrea Zeta”): il primo nipote del boss della Stidda catanese Salvatore che si è detto “onorato” di suo zio “che si è fatto 28 anni al 41 bis da innocente” mentre il secondo era finito in manette per reati di stampo mafioso.
Quegli eventi vennero organizzati dal “Pub Las Vegas” locale della famiglia di Paolo Aurelio Errante Parrino, un pregiudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso, reati in materia di armi e traffico di droga, già sottoposto a misure di sorveglianza speciale e all’obbligo di soggiorno proprio ad Abbiategrasso.
In quell’occasione il sindaco prese le distanze ritirando l’autorizzazione per i concerti (facendo arrabbiare non poco gli organizzatori). Una “linea dura” riservata pure alla giornalista. Perché, si sa, per qualcuno parlare di mafia significa attaccare un territorio, mica difenderlo. Anche nella martoriata Lombardia, nel 2022.