I sindacati hanno deciso una mobilitazione unitaria, ma qui non si scende in piazza come a Parigi. Professore Domenico De Masi, sociologo del Lavoro, c’è vita ancora nel sindacato?
“Se si guarda all’Europa e soprattutto alla Francia c’è da dire che c’è vita e anche forte. A Parigi si stanno imboccando delle corsie di lotta completamente inedite. È in atto in questo momento una mobilitazione generale che per la prima volta si ricollega alle parole d’ordine del ‘68. Quello che si chiede, oltre alle pensioni, riguarda la qualità complessiva della vita. La Francia ancora una volta si rivela la punta della freccia nel campo della lotta per i diritti. Forse anche questo fa da buon esempio per il sindacato italiano che ha attraversato un periodo di quiescenza perfino eccessivo”.
Lo sciopero generale nazionale unitario di Cgil, Cisl e Uil manca da più di 10 anni. Oggi potrebbero ritrovare le ragioni per scendere tutti e tre in piazza?
“I sindacati degli ultimi decenni hanno via via abdicato al loro compito anche perché man mano i lavoratori si sono staccati dal sindacato. Ma diciamo che c’è stato un circolo vizioso. I lavoratori si staccavano dal sindacato e il sindacato via via era più debole e meno lottava e questo comportava il distacco sempre più forte dei lavoratori. Il sindacato ha perso sempre più forza ma ne ha perso anche per le sue incoerenze. Ha capito troppo tardi i cambiamenti profondissimi che si andavano a verificare nel mondo del lavoro. Si pensi all’atteggiamento nei confronti dello smart working. Per capire il sindacato bisogna prima di tutto capire cosa succede al suo interno. Il sindacato riguarda l’organizzazione del lavoro ma i sindacati a loro volta sono un lavoro organizzato. Se uno va nelle sedi della Cgil e della Cisl trova pochissimi che fanno telelavoro, trova un’organizzazione del lavoro antiquata e molto autoritarismo. Allora come può un sindacato lottare per migliorare il lavoro altrui se al suo interno il proprio lavoro è organizzato in modo ottocentesco? È una contraddizione in termini. Ma a proposito di sciopero unitario mi faccia dire una cosa”
Prego.
“Bisogna capire cosa questo significhi. Unitario per certi versi è positivo per atri può essere negativo. È la Cgil che si appiattisce sulle posizioni riformiste e blande della Cisl, che fu totalmente dalla parte di Renzi sul Jobs act, o la Cisl che finalmente si accompagna a posizioni più radicali che dovrebbero essere della Cgil?”
La lezione francese dunque darà la sveglia al nostro sindacato?
“C’è un fatto reale. Per la prima volta dal dopoguerra in Italia ci sono tre partiti di destra al potere. La presenza di un governo di destra costringe la sinistra, nelle sue varie articolazioni, a prendere atto che la condotta che si deve tenere quando si sta all’opposizione è completamente diversa da quella che si deve tenere quando si è al potere. La sinistra e quindi anche i sindacati si erano abituati ad avere un rapporto con il governo del Paese di complicità. Con la destra al potere tutto questo si rompe. Io credo che l’atto della Cgil di invitare Giorgia Meloni faccia parte ancora dell’armamentario tradizionale di un sindacato che cerca più la complicità che la lotta. Non si capisce perché la Cgil abbia invitato la Meloni. Cosa si aspettava da quella visita di cui si può vantare la Meloni di esserci andata e non la Cgil di averla invitata. Quello voglio sperare sia stato l’ultimo atto di complicità col governo e che il sindacato capisca che il governo attuale è un governo di destra. Che nel suo dna è sempre schierato dalla parte dei datori di lavoro e non dei lavoratori”.
C’è un’uguale crisi identitaria anche nei sindacati di altri Paesi?
“Certamente. L’Europa aveva una tradizione sindacale completamente diversa da quella americana. Il sindacato Usa è stato sempre riformista, ha sempre ricercato vantaggi locali piuttosto che pensare alla condizione dei lavoratori in tutto il resto del mondo. Nel caso europeo c’era un sindacato che poteva restare agguerrito, veniva fuori da una tradizione di difesa dei diritti dei lavoratori che ha conservato per 30 anni dopo la guerra, conseguendo in tutti i Paesi europei vittorie continue. In Italia dagli anni ‘50 in poi abbiamo avuto la riforma agraria, la Cassa del Mezzogiorno, la riforma del diritto di famiglia, quella sanitaria, e poi lo Statuto dei lavoratori. A partire dagli anni ‘80 si è invertito il rapporto. Alla lotta di classe dei poveri contro i ricchi è subentrata la lotta dei ricchi contro i poveri. La ricchezza è stata divisa in modo iniquo, man mano i salari hanno preso la fetta minore e i profitti degli imprenditori la fetta maggiore. E in Italia la situazione è emblematica essendo l’unico Paese europeo che in 30 anni ha visto diminuire i salari. Questo è uno scacco dei lavoratori che significa anche scacco per tutta la sinistra e per tutti i sindacati”.
Quale potrà essere il futuro dei sindacati in Italia?
“Devono prendere atto che c’è un governo ostile, che è dalla parte dei padroni e non dei lavoratori. Se nell’elettorato della Meloni c’è una forte presenza di lavoratori è perché non sono stati educati dalla sinistra, e si ritrovano in uno stato confusionale in cui sperano di avere dei vantaggi dai nemici dei lavoratori”.
La Fondazione Di Vittorio ha rivelato che il 47% dei giovani under 34 non si iscrive al sindacato perché non sa cosa fa.
“Il sindacato ha abdicato completamente alla sua funzione pedagogica e non solo i sindacati ma anche i partiti di sinistra. Se avessero portato avanti tale funzione pedagogica non ci sarebbe la confusione per cui il proletariato si ritrova a votare a destra”.
I sindacati scontano battaglie di retroguardia come quella sul salario minimo?
“Il sindacato pur di difendere il suo potere contrattuale non si rende conto che una parte enorme dei lavoratori ha salari da fame”.
Perché i nostri sindacati sono stati così complici coi governi?
“Perché è mancato un rapporto serio con gli intellettuali e sono mancati intellettuali di sinistra che facessero da guida a sindacati e partiti. La scissione dei sindacati e dei partiti dal mondo intellettuale è gravissima. D’altra parte il mondo intellettuale non ha portato avanti un’analisi seria della situazione vista da sinistra. E questo ha comportato una grande confusione ideologica, la presenza assurda di punti di vista neoliberisti perfino nel Pd, nella Cgil, per non parlare della Cisl. La Uil con questo segretario invece si sta smarcando con posizioni più genuine e radicali”.