Mai dire game over. Per chi fa politica o per chi ancor più semplicemente è vicino al potente di turno un posto al sole si trova sempre. Non si è mai troppo fuori dai giochi. Ne è un esempio il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, l’organo di autogoverno dei magistrati che si occupano delle controversie legate al pagamento dei tributi e che nell’ultimo anno è costato oltre tre milioni e mezzo di euro. Spiccioli rispetto ai 50 milioni di spese del più noto Csm, ma comunque un buon posto al sole per chi riesce a restare sempre in sella tra un cambio di esecutivo e l’altro. E mentre la riforma della giustizia tributaria, prevista anche nel contratto di governo gialloverde, resta in alto mare, il Consiglio di presidenza non sembra curarsi troppo neppure della trasparenza, visto che tale sezione sul sito internet istituzionale è vuota o non aggiornata, senza dunque alcuna indicazione relativa agli stessi compensi dei consiglieri.
I CONTI. La giustizia tributaria è composta in parte di magistrati togati, che in genere uniscono ai loro incarichi nei vari uffici giudiziari quelli nelle commissioni tributarie, e in parte da professionisti di varia estrazione, per un totale di circa tremila toghe. Il contenzioso gestito dalle commissioni di primo e secondo grado è notevole. Nel 2017 hanno gestito controversie per 30,7 miliardi e alla fine di quell’anno risultavano pendenti ricorsi per un valore di altri 50,3 miliardi. Dai tributi comunali agli accertamenti relativi ai controlli della Guardia di finanza sugli evasori, sono migliaia i contribuenti che impugnano i diversi atti contestando i pagamenti loro richiesti. E i tempi, seppure ormai rapidi nelle commissioni, diventano biblici a causa dei ricorsi in Cassazione. Ma la riforma, tanto su tale aspetto quanto su quello relativo ad elevare la professionalità dei giudici tributari, resta sempre al palo. Intanto l’organo di autogoverno che disciplina il variegato mondo delle toghe specializzate in tasse lo scorso anno ha speso 3,6 milioni, con 176mila euro destinati soltanto alle missioni dei consiglieri, 158mila euro per le ispezioni e 23mila euro per le auto di servizio, oltre a 750.500 euro di affitto per la propria sede a Roma, in via Solferino.
UN POSTO PER TUTTI. Un organismo che ha dato una poltrona anche a chi sembrava ormai giunto al capolinea della propria carriera politica o a chi si è legato ai nuovi leader. Ecco infatti che a presiedere il Consiglio c’è Antonio Leone, passato da Forza Italia al partito di Alfano, che ha concluso l’esperienza parlamentare nel 2013 come vice presidente della Camera, ottenendo subito dopo un posto nel Csm e poi con i gialloverdi nell’organo appunto di autogoverno della Tributaria. Il Parlamento a maggioranza leghista e pentastellata ha votato inoltre come consigliere in via Solferino l’ex ministro della pubblica amministrazione del Governo Letta, Gianpiero D’Alia, Antonio Mauriello e Giacinto Della Cananea, quest’ultimo un prof particolarmente legato a Luigi Di Maio, che lo aveva scelto tra i saggi da ingaggiare per mettere a punto il programma di governo. Nel Consiglio, tra le toghe, vi sono invece anche l’ex presidente dell’Anm di Roma, Paolo Auriemma, e il giudice Carla Romana Raineri, ex capo di gabinetto di Virginia Raggi. Per quanto riguarda i compensi ai componenti del Consiglio, i consulenti e il personale la trasparenza non sembra però una priorità. Il sito internet istituzionale in tali sezioni è desolatamente vuoto. Non resta che accontentarsi dell’ultimo bilancio approvato.