Tagliare il numero dei parlamentari? Non sia mai, verrebbe meno la rappresentanza del territorio. E’ una delle principali obiezioni dei fautori del no al referendum che si voterà domani e lunedì. Gli italiani saranno chiamati a decidere se ridurre i 630 deputati a 400 ed i 315 senatori a 200. Sembrerebbe anche un’obiezione corretta, se non fosse che alla Camera dei deputati come al Senato sono circa una sessantina i casi in cui i parlamentari appartenenti ad un determinato territorio sono stati eletti da tutt’altra parte. La più nota? è la toscana Maria Elena Boschi di Italia Viva che da Arezzo è stata eletta in Trentino Alto Adige. Oppure un parlamentare di lungo corso come Gianfranco Rotondi, nato ad Avellino, ed eletto in Abruzzo che alla Notizia dichiara che non importa quale sia il territorio che si rappresenti, l’importante è farsi portavoce delle esigenze. E di fatto in passato è stato candidato anche in regioni come la Lombardia.
Ma allora la rappresentatività che fine ha fatto? Poi ancora Lucia Annibali di Italia Viva, nata ad Urbino ed eletta in Veneto. Oppure Laura Boldrini del Partito democratico, nata a Macerata, eletta in Lombardia e residente a Mergo (Ancona). Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali, nato a Pisa, eletto in Piemonte e residente a Foligno (Umbria). Anche i senatori non sono da meno. E’ il caso di Teresa Bellanova di Italia Viva, nata e residente a Lecce ma eletta in Emilia Romagna. Oppure Giulia Bongiorno della Lega, nata a Palermo, candidata ed eletta in Piemonte, Lombardia, Liguria, Lazio e Sicilia, alla fine proprio per la regione natia sebbene residente a Roma.
Seguendo l’esempio del leader della Lega, Matteo Salvini, nato e residente a Milano ma pluricandidato, oltre che in Lombardia, anche nel Lazio, in Liguria, Sicilia e Calabria, dove alla fine è stato eletto. Ma non finisce qui. Giovanbattista Fazzolari, di Fratelli d’Italia, nato a Messina eletto in Piemonte e residente a Fiumicino. Ancora, Gaetano Quagliarello, del gruppo misto, nato a Napoli, eletto in Abruzzo e residente a Roma. Ma anche il leghista Armando Siri, che in questi giorni ha ben altri grattacapi a cui pensare (l’inchiesta di Milano nella quale è indagato per corruzione), nato a Genova, eletto in Emilia Romagna e residente a Milano.
Si obietta, inoltre, che la riforma renderebbe, per numero, il Parlamento italiano meno rappresentativo degli altri parlamenti occidentali. Non è così. Il Congresso degli Stati Uniti – insieme con quello italiano, unico parlamento occidentale ad articolarsi in due camere, con pieni poteri, elette a suffragio diretto – è composto da 435 deputati e 100 senatori. Il nostro Parlamento, seppur ridotto, sarebbe di poco superiore a quel Congresso: 400 deputati e 200 senatori più 5 senatori a vita, ma in rappresentanza di una popolazione di poco inferiore ad un sesto di quella statunitense. Bisogna poi fare chiarezza sulla composizione dei Parlamenti. Con 630 deputati e 315 senatori, siamo il Paese in Europa che ha il più alto numero di parlamentari eletti direttamente.
La Germania ne ha 709, la Gran Bretagna 650 e la Francia 577. Noi 945. Con la riforma l’Italia rientrerà nella media dei grandi Paesi europei: se oggi abbiamo 1,6 eletti ogni 100 mila abitanti, con il taglio del numero dei parlamentari il rapporto sarà di 1 a 100 mila (lo stesso dato della Gran Bretagna). Nei parlamenti delle principali democrazie europee la più rappresentativa è la Camera bassa. In Italia, con 630 deputati, la Camera costa ben 989 milioni, il Senato con 315 scranni circa mezzo miliardo. In Germania sono 707 e spendono 990 milioni. In Francia vi sono 577 deputati per 568 milioni di spesa dell’Assemblea nazionale. Nel Regno Unito 650 membri dei House of Commons per 468 milioni. In Spagna, che ha un minor numero di abitanti, il Congresso ne spende meno di 100 con 350 deputati. Dunque, in rapporto alla popolazione, il numero dei deputati delle Camere basse è simile. Eppure, in base al numero di seggi, ogni deputato costa in Italia ogni anno quasi 1,6 milioni.
Veniamo, quindi, a quanto va in tasca ai parlamentari: in Italia per i deputati 17.628 euro lordi al mese e 19.715 per i senatori. Il paragone con i loro colleghi degli altri Paesi è d’obbligo. In Francia lo stipendio è di 12.613 euro, tra indennità, diaria e spese di mandato. Hanno diritto a un collaboratore, ma lo paga direttamente l’amministrazione. In Germania il mensile è di 10.083 euro, più 4.340 per le spese di mandato. Allo staff presso il gruppo parlamentare ci pensa il Bundestag. In Gran Bretagna 6.958 euro, più 375 euro per il trasporto a Londra. Solo per chi è eletto fuori Londra vengono messi a disposizione 2.112 euro per l’alloggio e spese di viaggio.
I membri della House of Commons hanno diritto a un assistente parlamentare e ad altri benefit a seconda del proprio ruolo istituzionale, ma il loro costo è regolato direttamente dalla Camera. In Italia con la riforma si cercherà di rendere il lavoro delle Camere più snello ed efficiente. L’attività, come il potere, del Parlamento, oltre che dalla legge elettorale che lo esprime, dipende dalla sua funzionalità. Ma avendo un numero ridotto di parlamentari certamente la selezione sarà più accurata e ogni singolo parlamentare sarà più influente nell’attività delle Camere.
Sarà scoraggiato l’assenteismo, che oggi invade i palazzi del potere, perché in un Parlamento più ridotto i partiti non potranno permettersi che i parlamentari si assentino. È chiaro che la riduzione del numero di deputati e senatori fornisce l’occasione per varare anche una nuova legge elettorale da cui dipende il livello di rappresentanza. Inoltre con il taglio si otterranno anche notevoli risparmi: 410 milioni di euro a legislatura. Quindi le Camere lavoreranno in maniera più spedita, i cittadini saranno meglio rappresentati e si risparmieranno 274mila euro al giorno. Non proprio bruscolini.