Una giungla senza regole. Benvenuti nel mondo dell’osteopatia, una pratica esistente in Italia da ormai 30 anni e non disciplinata da alcuna legge specifica. Nonostante il numero degli osteopati sia in crescita, proprio perché c’è tanta richiesta del mercato, il riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria procede lentamente. Con tutti i rischi del caso. Quanto per i pazienti, che potrebbero trovarsi dinanzi figure non pienamente qualificate, tanto per i professionisti, che si trovano a dover fronteggiare una concorrenza di tutti i tipi. Ma questo, spesso, chi si reca da un osteopata nemmeno lo sa.
La situazione – A spingere per il riconoscimento giuridico dell’osteopatia come professione sanitaria c’è ormai da anni in campo il ROI, il registro degli osteopati italiani, che porta avanti anche la mission di garantire qualità e sicurezza ai cittadini che si rivolgono ai professionisti. L’associazione chiarisce che l’osteopatia è una medicina non convenzionale riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e definita nel 2007 come una medicina basata sul contatto primario manuale nella fase di diagnosi e trattamento. Secondo i dati Eurispes 2012 circa il 7-8% della popolazione ricorre all’osteopatia. In Italia ci sono circa 7mila osteopati, di cui circa 2.500 iscritti al Roi, impegnato a garantire degli standard qualitativi. Dato il proliferare di scuole e nuovi corsi il dato è in costante crescita. Per diventare osteopati si possono seguire master specifici, dopo aver conseguito una laurea nel campo sanitario, o frequentare scuole private a tempo pieno per 5 anni. C’è da dire che non tutte le scuole in circolazione sono accreditate dal ROI. Detto questo, dalla mappa che ne viene fuori, per i pazienti risulta davvero difficile orientarsi. Affidandosi, spesso, al caso nella scelta dell’osteopata di fiducia. È necessario quindi stabilire un po’ d’ordine. Rispetto alla gran parte dei Paesi europei dove l’osteopatia è praticata da professionisti che seguono un percorso di studi indipendente dalle altre professioni sanitarie e mai inteso come una specializzazione di una di queste, in Italia non si riesce a trovare la quadra. E l’iter legislativo sta procedendo estremamente a rilento tra mille ostacoli. “Il riconoscimento di nuove professioni comporta paure e resistenze, soprattutto da parte delle altre figure sanitarie. La professione di osteopata va a integrare le altre, così come già avviene nella pratica”, ha spiegato a La Notizia la presidente del ROI, Paola Sciomachen, “È fondamentale che vengano definiti bene gli ambiti e le competenze degli osteopati in relazione alle altre professioni, a tutela prima di tutto dei pazienti”. Quindi a ognuno il suo spazio. “Chiediamo il riconoscimento di una professione che di fatto esiste già, a cui si rivolge un numero sempre maggiore di italiani”, ha sottolineato la numero uno del ROI in Italia, “Il lavoro interdisciplinare va potenziato con la collaborazione. I conflitti esistenti sono presenti più sulla carta che nella pratica. Ma sia chiaro, rivendichiamo un diritto, non siamo contro nessuno”.
Le resistenze – Tra le figure sanitarie più avverse al riconoscimento dell’osteopatia c’è quella dei fisioterapisti. Che in più occasioni hanno manifestato le loro perplessità. “L’osteopatia è classificata dall’OMS come medicina non convenzionale, come lo sono la chiropratica, l’agopuntura, l’ayurveda, la naturopatia e altre, con un’efficacia ancora incerta su moltissime patologie”, ha spiegato l’Associazione italiana dei fisioterapisti (A.I.FI.) contattata da La Notizia, “I Paesi in cui è riconosciuta come professione sanitaria sono una decina in tutto il mondo e frequentemente il sistema sanitario nazionale non rimborsa le prestazioni proprio perché le evidenze di efficacia sono insufficienti. Lo stesso sito del sistema sanitario inglese, alla voce ‘evidenze’ cita l’osteopatia solo nella lombalgia persistente, mentre elenca una serie di altre patologie in cui non c’è nessuna o scarsa efficacia, come l’asma, i dolori mestruali, le coliche infantili, l’otite, la scoliosi e i disordini temporomandibolari”. Una posizione netta e poco propensa al dialogo auspicato dall’altro versante. “È quindi più appropriato che l’osteopatia sia praticata da professionisti sanitari, come medici e fisioterapisti, che hanno le competenze necessarie per stabilire quando sia da integrare nel trattamento”, ha sottolineato l’A.I.FI. “e per condurre ulteriori studi per capire realmente in che cosa l’osteopatia sia utile, inutile o eventualmente dannosa”. Al di là delle posizioni in campo sono sempre di più i fisioterapisti che decidono di seguire corsi di formazione in osteopatia. E non mancano quelli che sarebbero anche favorevoli a riconoscerla come professione sanitaria. Punti di vista.
Il percorso – Ora la partita si sta giocando a livello politico. Il disegno di legge che prevede l’istituzione della professione di osteopata è già passato al vaglio del Senato, ma è tornato alla Camera per recepire alcune modifiche. Stiamo parlando dell’articolo 4 del ddl Lorenzin sulla riforma degli Ordini e le sperimentazioni cliniche. Se diventasse legge per esercitare la professione di osteopata sarebbe necessario seguire un percorso di laurea ad hoc. Ovviamente si aprirebbe la questione del riconoscimento dei titoli già conseguiti. E c’è già chi paventa il rischio di una sorta di sanatoria indiscriminata. Altra questione è quella dell’albo professionale. Gli osteopati sarebbero collocati in quello dei tecnici di radiologia. Il dibattito è in una fase cruciale. Dopo trent’anni di far-west sarebbe ora che il legislatore facesse chiarezza una volta per tutte. Intraprendendo una strada. Qualunque essa sia. Per tutelare pazienti e professionisti del settore.