Banca d’Italia ha comunicato che a marzo sono saliti ancora i tassi sui mutui e che sono rallentati i prestiti alle famiglie, oltre a essere scesi quelli alle imprese. Professore Guido Ortona, economista che ha insegnato all’Università del Piemonte Orientale, sono gli effetti della stretta monetaria della Bce?
“Che i tassi di interesse aumentino da quando la banca centrale europea smette di comprare i titoli di Stato è ovvio. Sarebbe stato stranissimo il contrario. Sui prestiti non mi stupisce che le banche abbiano stretto i cordoni della borsa, dal momento che le famiglie sono diventate meno affidabili tra precarietà, incertezza sul mercato del lavoro e inflazione”.
Ritiene che la politica monetaria sia troppo aggressiva?
“Se il governo europeo – quel poco che esiste – volesse fare una politica di sviluppo per le aree più arretrate dell’Europa, fra cui l’Italia, non dovrebbe fare queste scelte. Se si fa una politica monetaria restrittiva che obbliga l’Italia a restituire parte del debito e, comunque, a pagare interessi molto elevati è chiaro che l’economia italiana non può crescere. Questo circolo vizioso della necessità di fare debito per pagare il debito precedente è quello che ha allontanato il nostro Paese dall’Europa negli ultimi 25 anni. Bisogna chiedersi il perché di questa politica. La risposta è ovvia. Una ragione si ravvede nel mercato politico tedesco sul quale premia il non essere indulgenti verso gli stati ritenuti spreconi del denaro europeo come il nostro. L’altro motivo è lo spread. La Germania, puntando sul rischio Italia, può emettere debito a tassi meno elevati. Quindi è interesse dei tedeschi che il nostro Paese sia sul filo del rasoio”.
Secondo lei sarebbe opportuno mettere una tassa sugli extraprofitti bancari, come su quelli delle compagnie assicurative, farmaceutiche e via dicendo?
“In linea di principio sì. Ma credo che sarebbe più giusto e più facile da applicare un’imposta sulla ricchezza finanziaria delle famiglie. Alla fine i super profitti delle imprese diventano super redditi per i padroni delle imprese. Al termine della catena ci sono persone fisiche che stanno realizzando guadagni molto elevati. E gli alti redditi – il sistema fiscale nel suo complesso è regressivo – pagano in proporzione tasse meno elevate di quelle che pagano le persone normali. I grandi redditi diventano poi ricchezza. Tassarli sarebbe la cosa più equa da fare con meno rischi di evasione e anche con meno rischi di ricadute dannose sulla crescita dell’economia rispetto alla tassazione dei redditi d’impresa”.
Nella media del primo trimestre la differenza tra la dinamica dell’inflazione e quella delle retribuzioni contrattuali rimane superiore ai sette punti percentuali.
“I redditi non tengono il passo con l’inflazione e questo dipende dal potere contrattuale dei lavoratori rispetto alle imprese. Ora questo ha diverse conseguenze: la gente sta male, aumenta la povertà. E c’è anche un’altra conseguenza negativa. Un modo per ridurre il peso del debito pubblico è l’inflazione. Una robusta inflazione abbassa il valore reale dei debiti, però se c’è un’elevata inflazione, accanto a questo vantaggio dell’abbassamento del debito, se i redditi non sono indicizzati si determina un’ulteriore grave perdita del potere d’acquisto e dunque del livello di vita dei lavoratori. Che non possiamo permetterci”.
Il governo ha scelto la moderazione salariale contro quella che ha definito la pericolosa spirale salari-prezzi.
“In linea di principio non c’è nessun motivo per cui non debba esserci una spirale salari-prezzi. Se aumentano i prezzi e i salari non tengono il passo con questi la gente diventa più povera. È questo che vogliamo? Vogliamo combattere l’inflazione facendo diventare la gente sempre più povera? Se è questo che vogliamo allora ha senso parlare di combattere la spirale salari-prezzi, se vogliamo invece evitare che la gente si impoverisca sempre più dobbiamo attuare politiche che facciano sì che la gente non diventi più povera. Occorre trovare altri strumenti per combattere l’inflazione”.
Il taglio del cuneo fiscale del governo la convince?
“Il governo sta riducendo il cuneo fiscale operando sul debito pubblico. è una cosa molto provvisoria. Se si vuole ridurre il cuneo fiscale ci sono due possibilità: o ridurre la spesa pubblica che oggi in Italia è già molto bassa oppure tassare altre voci, come la proprietà. In altri termini se si riducono determinate entrate fiscali bisogna ridurre le spese oppure trovare altre entrate fiscali. La strategia attuale del governo mi sembra che sia quella di ridurre il costo del lavoro riducendo la spesa pubblica. Questo corrisponde a una strategia, che io considero sbagliata, ma che ha una sua coerenza. Ovvero favorire i privati. Se si riduce la spesa pubblica, per compensare la riduzione delle entrate fiscali, si taglia per esempio sulla sanità lasciando spazio a quella privata. I cittadini che saranno contenti di avere un piccolo aumento in busta paga pagheranno di più per le spese sanitarie. Questa è una strategia neoliberista che punta a ridurre il ruolo dello Stato e ad aumentare quello dei privati. Il governo punta a fare dell’Italia un paese neoliberista per eccellenza per attrarre capitali e investimenti, puntando su flessibilità del lavoro, bassi salari, ruolo dello Stato minimale, più spazio ai privati”.
Reddito di cittadinanza.
“Questo governo ha dei tratti disumani che non mi piacciono ma credo che, per motivi elettorali, alla fine non metteranno alla fame 600mila persone considerate occupabili che, se il lavoro non c’è, sono semplicemente dei disoccupati”.