di Carola Olmi
Più in crisi della Grecia. Più svalutato della moneta cinese. Il bene rifugio per eccellenza non tira più e la domanda globale nel secondo trimestre di quest’anno è scesa del 12%, a 914,9 tonnellate, il livello più basso da sei anni. A frenarne l’acquisto c’è proprio la Cina, dove il mercato dei gioielli è sceso del 5%, e soprattutto l’India dove la flessione è addirittura del 23%. Ma calano vistosamente anche gli investimenti aurei in monete e lingotti, scesi complessivamente dell’11% a 178,5 tonnellate. Giù anche la domanda da parte di banche centrali e altre istituzioni (-13% nel trimestre).
A fare i conti è l’ultimo rapporto del World Gold Council, che vede nei più recenti casi internazionali di instabilità finanziaria una possibilità di recupero per i prezzi e la domanda. Se la gioielleria “è stata messa sotto pressione dal calo della fiducia dei consumatori” e gli investimenti hanno risentito “di prezzi che si sono mossi senza direzione e dei guadagni dei mercati azionari”, è possibile che adesso cui sia “una redazione dei consumatori al progressivo calo dei prezzi”.
Proprio per effetto della svalutazione dello yuan di questi giorni e nella prospettiva che la Fed Americana per reazione rinvii il previsto rialzo dei tassi, se non svaluti a sua volta il dollaro, i corsi dell’oro stanno lentamente riprendendo quota. Diverse Banche centrali tra l’altro continuano ad acquistare e in qualche caso ad incrementare ulteriormente le riserve auree, con volumi di domanda che restano superiori alla media degli ultimi cinque anni. Al primo posto nel seguire questa strategia c’è la Russia, con acquisti netti per 36,8 tonnellate nell’ultimo trimestre, seguita a distanza considerevole da Giordania e Kazakhstan. Oro che non manca certo nelle casse della Banca centrale di Pechino, le cui riserve rese note solo nelle ultime settimane sono salite del 57% dai tempi dell’ultimo annuncio nel 2009.