“Prego anche per noi perché non ci prendano lo scoramento, la disillusione, perché non cediamo al sentimento della fatalità: non si muore sul lavoro per fatalità, si muore per inosservanza delle norme di sicurezza, per la responsabilità di avrebbe dovuto e non ha controllato che fossero applicate”. Sono le parole di Monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, sulla morte di Antony Turnone, l’operaio 28enne morto a San Donato vicino a Lecce, folgorato da una scossa elettrica durante lo spostamento di alcuni container.
L’arcivescovo dice quello che la politica fatica a riconoscere: “Solo pochi giorni fa – ha detto il presule – piangevamo il povero Massimo De Vita (operaio morto in un incidente sul lavoro al porto di Taranto, ndr), abbiamo pregato per lui, per la sua famiglia, i suoi amici; abbiamo lanciato appelli per una rinnovata attenzione nei confronti dei lavoratori, della loro sicurezza, per un lavoro che fosse solo un’occasione di promozione della dignità umana e di promozione sociale. Non dobbiamo abituarci, non possiamo accettare che un tale sacrificio diventi la norma come, leggendo gli impietosi numeri delle statistiche degli incidenti, potrebbe accadere”.
E Santoro ha ragione da vendere poiché a oggi nel 2022 ci sono stati dall’inizio dell’anno 287 lavoratori morti sul lavoro: di questi 151 hanno perso la vita sui luoghi di lavoro (ma non ci sono ancora i dispersi delle Grimaldi che sembrano spariti nel nulla), i rimanenti sulle strade e in itinere. Come sempre rimangono fuori dalle statistiche i lavoratori non assicurati all’Inail e i morti non regolarizzati da contratto.
Ogni volta che si parla di caduti sul lavoro il governo, ogni governo di qualsiasi colore politico, promette di fare di più, promette di fare meglio eppure rimane quella sostanziale sensazione che i morti vengano considerati inevitabili danni collaterali (qualcuno ha il coraggio addirittura di dirlo apertamente) a cui dobbiamo abituarci in nome del fatturato. “Non ci prendano lo scoramento, la disillusione, perché non cediamo al sentimento della fatalità”: sembra il punto di un programma politico, così come lo si vorrebbe sentire dai partiti che rivendicano la propria origine dalle lotte dei lavoratori (il Pd, per dirne uno facile) e invece le parole arrivano da un prete.
Il Papa è odiato dalla destra italiana e dai sovranisti perché considerato troppo “progressista”
Non male come inversione della realtà. Non male che un ministro del perdono chieda invece di non dimenticare. Ma il momento storico in cui la Chiesa in alcuni temi riesce ad essere più a sinistra della sinistra non si limita a qualche arcivescovo o a qualche prete di periferia. Papa Francesco mica per niente è odiato dalla destra italiana e dai sovranisti del mondo perché considerato troppo “progressista” su diversi punti.
Del resto è Papa Francesco che qualche giorno fa ha sconfessato con decisa diplomazia il Partito Unico Bellicista che dalle nostre parti abbraccia quasi tutto l’arco parlamentare: definire “pazzi” coloro che sono d’accordo con la rincorsa agli armamenti significa esporre una posizione chiara e precisa in un momento storico in cui dissentire sul tema merita il bollino del “disertore” o del “troppo poco patriottico”. “Il Papa fa il Papa”, dicono alcuni parlamentari del centrosinistra che ormai il pacifismo ce l’hanno solo sulle spille in vendita di fianco alle salamelle.
Sarà anche vero ma che il centrosinistra non dica quasi mai nulla di sinistra è un tema politico che forse andrebbe affrontato. Infatti, guarda il caso, Papa Francesco che si merita una copertina ogni volta che racconta una barzelletta in aereo ora che parla di armi e di guerre finisce nelle notizie brevi di giornali e di telegiornali, come se fosse un inciampo di passaggio.
In effetti deve essere dura essere superati politicamente da un Papa, è una bella contraddizione della storia, a pensarci bene. Francesco è lo stesso Papa che in occasione della dipartita delle truppe occidentali dall’Afghanistan nel settembre dell’anno scorso chiarì che “nel ritiro dall’Afghanistan” non erano “state prese in considerazione tutte le eventualità” e che la popolazione dell’Afganistan sia stata “lasciata a se stessa”.
Chissà se a Joe Biden e all’Ue non siano fischiate le orecchie, anche quella volta. Nella famosa intervista da Fabio Fazio il Papa per qualche giorno è diventato l’idolo del centrosinistra italiano. L’ex presidente del Consiglio e attuale Commissario Ue Paolo Gentiloni, ad esempio, l’ha sentitamente ringraziano ma probabilmente non ha avuto il tempo di ascoltarlo. Papa Francesco, in quell’occasione, ha definito “lager” i campi di detenzione in Libia figli degli accordi che proprio sotto il governo Gentiloni sono stati sottoscritti.
Applaudire il Pontefice mentre critica l’attuale stato di cose in tema di migrazione significa essersi dimenticati anche di Minniti che fu il Salvini educato ben prima dell’arrivo di Salvini, significa dimenticare la frase “non abbiamo il dovere di aiutarli” che scrisse nel suo libro l’allora segretario del Pd Matteo Renzi, significa fingere di dimenticare le navi italiane regalate alla cosiddetta Guardia di costiera libica e il successivo addestramento.
Il Papa che negli Emirati Arabi lancia un appello per lo Yemen, per dirne un’altra, è un’accusa a chi ha venduto le armi per sventrare le città e uccidere i civili: sono gli stessi politici italiani che lo applaudono. Da laici essere superati a sinistra dal Papa è già piuttosto desolante, non rendersene conto è una farsa. Un piccolo consiglio ai politici di centrosinistra: applauditeli un po’ meno, ascoltateli di più. Magari i preti smetteranno di essere avanguardia politica.