I conti come si sa si fanno sempre alla fine. E così la seconda e ultima giornata del vertice europeo che si è concluso ieri, e che già alla vigilia era bollato come uno tra i più difficili di sempre, ha spento definitivamente l’entusiasmo della prima giornata segnata da quella che era stata salutata come una svolta storica.
Ovvero l’apertura dei negoziati di adesione con l’Ucraina – e la Moldavia – e la concessione dello status di Paese candidato alla Georgia. Ma gli occhi erano tutti puntati su Kiev e sull’opposizione dell’ungherese Viktor Orban. Che alla fine ha ceduto. Con un escamotage. Al momento della votazione il premier di Budapest non c’era. Un risultato che ha fatto cantare vittoria prima del tempo.
La lunga notte
Il ricatto di Orban dall’adesione di Kiev nella notte si è spostato sul bilancio comunitario. E questa volta il premier magiaro non ha ceduto e il veto ha funzionato. A dare la notizia è stato lo stesso Orban. “Sintesi del turno di notte: veto per i soldi in più per l’Ucraina, veto per la revisione del Quadro finanziario pluriennale. Torneremo sulla questione l’anno prossimo in sede di Consiglio europeo dopo un’adeguata preparazione”, ha detto.
In ballo c’erano 50 miliardi per Kiev (33 di prestiti agevolati e 17 di sussidi). Sulla revisione del bilancio europeo “c’è un sostanziale accordo politico a 26”, che nella sua forma legale verrà sviluppato nelle prossime settimane fino al vertice straordinario che si terrà tra fine gennaio e inizio febbraio, si sono affrettate a tranquillizzare fonti europee, sottolineando che, essendoci un’intesa a 26 sulla revisione di bilancio nella sua completezza ciò vale anche per gli aiuti da 50 miliardi per l’Ucraina. Il pacchetto di aiuti, spiegano le fonti, andrà comunque avanti, con o senza l’Ungheria e all’interno o meno del bilancio finanziario pluriennale.
Il piano B è scorporare gli aiuti a Kiev dal bilancio e creare una macro-assistenza finanziaria ad hoc per l’Ucraina, sostenibile anche da 26 Paesi membri su 27. Al momento, ricordano le fonti, gli aiuti europei per Kiev sono garantiti fino alla prossima primavera. A spiegare il muro di Budapest e a far luce sui ricatti magiari è lo stesso Orban. A convincerlo a non impuntarsi sull’ingresso di Kiev in Europa era stato lo sblocco dei 10 miliardi di fondi strutturali che erano stati congelati dalla Commissione europea a suo tempo per le mancanze sullo Stato di diritto di Budapest.
Step successivo
Ma per Orban per compiere il passo successivo, ovvero far cadere anche il veto sui fondi a Kiev, l’Europa deve piegarsi ancora di più. Bruxelles, cioé, dovrebbe scongelare all’Ungheria tutti i soldi che in teoria gli spetterebbero. “Ho sempre detto che se qualcuno vuole modificare il bilancio, allora è una grande opportunità per l’Ungheria per chiarire che deve ottenere ciò a cui ha diritto. Non la metà, o un quarto” ha detto il primo ministro ungherese. Con il pacchetto di aiuti all’Ucraina, ha spiegato, l’Ue intende replicare quanto accaduto con il Covid e il NextGenerationEU.
“Abbiamo fatto un’eccezione una volta e abbiamo fatto male”, ha dichiarato il premier magiaro, lamentando il fatto che l’Ungheria non ha avuto accesso ai fondi per la ripresa. Orban si è soffermato poi sulla discussione, che ha descritto “lunga e difficile”, sull’avvio dei negoziati di adesione all’Ue dell’Ucraina, e ha alzato il tiro minacciando anche l’opposizione di Budapest su questo e avvertendo che questo processo potrebbe essere “fermato in seguito”. “Ho passato otto ore a convincerli a non prendere questa decisione sbagliata” ha raccontato Orban, affermando che l’argomento decisivo è stato che se l’Ungheria è contraria all’ingresso dell’Ucraina in Ue, “il Parlamento ungherese può votare contro, e finché la questione non arriva ai parlamenti, il processo è molto, molto lungo”.
Il tesoretto
La partita che Orban sta giocando con l’Ue chiama in ballo il ‘tesoretto’ dei fondi europei destinati al suo Paese e bloccati. Complessivamente, l’Ue ha disposto il congelamento di circa 22 miliardi di euro di fondi di coesione per il periodo di programmazione 2021-2027 e di 10,4 miliardi di euro del Pnrr nazionale. Nei giorni scorsi, appunto, Bruxelles ha deciso di sbloccare 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione e di versare un pre-finanziamento da 900 milioni per il Pnrr ungherese modificato con il capitolo del Repower.
Ma per Orban non bastano. Al momento Bruxelles non intende piegarsi ulteriormente. “Tutti gli Stati membri sanno quali sono le regole e come funziona il processo: se ci sono passi avanti, arrivano i pagamenti. Per quanto riguarda l’Ungheria abbiamo il Pnrr, il meccanismo di condizionalità e i fondi di coesione. In quest’ultimo caso ci sono stati passi avanti e i finanziamenti sono stati sbloccati”, ha detto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, facendo capire che sul Pnrr Budapest ancora non ha le carte in regola. Tra i grandi sconfitti di questa partita c’è Giorgia Meloni che il giorno prima si era affrettata a prendersi il merito, non suo, di aver convinto Orban a non opporsi all’ingresso di Kiev.
“Orban blocca la revisione del bilancio Ue e i fondi all’Ucraina. La realtà è diversa dalla propaganda, e anche in questo caso la mediazione della Meloni con il fronte sovranista è un flop totale. I migliori amici della destra italiana sono i peggiori nemici dell’Italia e dell’Ue”, ha sintetizzato Enzo Amendola del Pd. E se il commissario Ue, Paolo Gentiloni, ha definito il rinvio del bilancio Ue, ovvero il rinvio del sostegno economico all’Ucraina, “molto grave”, Vladimir Putin si è congratulato con l’amico ungherese.
“L’Ungheria è un paese sufficientemente indipendente per difendere i suoi interessi”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov commentando il blocco ai finanziamenti a Kiev. Secondo Peskov l’ingresso dell’Ucraina e della Moldavia nella Ue potrà “destabilizzare” l’Unione europea, che ha deciso di avviare le procedure per la loro ammissione solo per motivi “politici”. Il portavoce ha spiegato che questi membri possono destabilizzare la Ue perché l’Unione ha sempre avuto “criteri severi per l’ingresso” e “al momento è ovvio che né l’Ucraina né la Moldavia rispondono a questi criteri”.