di Monica Setta
“Non ė pensabile che il governo scarichi sulle imprese i costi dello slittamento dell’aumento Iva previsto per luglio. Bisogna tagliare gli sprechi, le aree di privilegio della politica per reperire i fondi necessari ad azzerare il rialzo che in questa fase di difficoltà e contrazione dei consumi non può che far peggiorare la situazione economica del Paese”. Ivan Malavasi non usa mezzi termini per mandare un messaggio chiaro all’esecutivo di Enrico Letta. Il presidente della Cna (la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa) è da poco anche il numero uno di Rete Impresa Italia, il rassemblement di sigle (dalla stessa Cna a Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato e Casartigiani) che rappresentando oltre due milioni e mezzo di aziende associate, il 57% dell’occupazione complessiva in Italia e il 17% del Prodotto interno lordo. Una missione strategica, la sua, che prevede di consolidare il brand di Rete Imprese Italia in tutte le regioni (attualmente ė presente solo in sei) fungendo contemporaneamente da “coscienza critica” nei confronti della politica. Quella politica a cui il mondo del commercio e dell’artigianato, struttura portante dell’economia reale, chiede riforme strutturali e non solo “pannicelli caldi”.
Come giudica i primi provvedimenti presi da questo governo di larghe intese?
“I primi “titoli” sono giusti, il bonus per le ristrutturazioni e gli eco incentivi vanno nella strada tracciata per far ripartire l’economia. Ma richiedono, va detto, anche una modesta copertura di spesa. Positivo pure il “decreto del fare”, le proposte per l’occupazione giovanile e la semplificazione burocratica. Insomma, un governo corretto che ha enunciato in nome del bene dei cittadini, come ha spiegato il premier Letta, una “mission” composta di buone intenzioni. Purtroppo, però, i nodi più importanti restano intricati. E mi riferisco al grande tema della pressione fiscale che da noi è irrimediabilmente troppo alta, mentre si potrebbero trovare risorse attraverso la revisione della spesa pubblica e la lotta all’evasione. La verità è che non basta estendere l’ecobonus a caldaie ed elettrodomestici quando poi si devono aumentare gli acconti Irpef, Ires e Irap. Servono altri sforzi da parte del governo, mi creda”.
Il ministro Saccomanni dice di “vedere la luce in fondo al tunnel”. Lei invece pensa che si stia facendo troppo poco?
“Io sostengo che abbiamo bisogno di risolvere i nodi strutturali attraverso riforme serie, radicali, definitive. Il Paese non ha necessità solo di “rigore”, ma anche di sviluppo, di crescita. L’ecobonus al 65% per caldaie e condizionatori, lo sconto del 50% per chi acquista frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie entro un tetto di 10 mila euro per chi ristruttura casa, vanno bene. Si tratta, come dicevamo, di una prima scossa all’economia a cui dovranno seguire un taglio della spesa pubblica e un’accelerazione dei pagamenti dei debiti pubblici. Se il governo non trova il suo “scatto”, la sua “visione” di alto profilo, non sono fiducioso che possa riuscire a creare quei 200 mila posti di lavoro di cui si parla. E pensare che basterebbe far ripartire le opere pubbliche per creare nuova occupazione”.
Di che tipo?
“Mi viene in mente la possibilità di reperire risorse fuori budget per quel piano idrico nazionale che metterebbe in moto nuove possibilità di lavoro dando anche un servizio qualitativamente più alto ai cittadini. La mia paura è che la rassicurazione di oggi possa diventare una “botta” terribile a fine anno quando magari gli italiani, a ridosso dal Natale, si troveranno a dover saldare i debiti arretrati con il fisco. Manca una visione di largo respiro, è questo che noi chiediamo alla politica”.
State preparando per l’autunno un Forum di grande prestigio in cui metterete a confronto premi Nobel dell’economia offrendo spunti culturali al governo e una serie di proposte concrete…
“Esattamente. Prepariamo una grande iniziativa di politica economica come Reti Impresa Italia per spronare il governo, per serrare il confronto con una politica che deve dimostrare di saper essere finalmente all’altezza di un rapporto fiduciario con i cittadini. Spesso i politici si nascondono dietro le pieghe di un bilancio statale, cercano alibi per seguire strade già tracciate e consolidate, come l’aumento della pressione fiscale, che pesano sulle imprese e sui lavoratori. Ė più semplice stringere la cinghia prelevando dai “soliti noti” che non studiare nuove strade per tagliare i privilegi, stanare l’evasione e costruire percorsi di sviluppo e crescita che assicurino posti di lavoro stabili ai giovani. Adesso dobbiamo scegliere la strada più complicata, fare tutti uno sforzo per il bene comune del paese, mettere da parte l’io cioè l’interesse particolare e cominciare a parlare al plurale di “noi” e del nostro sistema Paese”.
Ma lei ė ottimista circa la ripresa economica prevista per il 2014?
“Sono abituato a pensare in modo positivo, ottimista per carattere ma conservo sempre lucidità nelle analisi economiche. Le risorse le abbiamo, dipende dalla politica, e noi faremo la nostra parte fino in fondo. Abbiamo 7 mila uffici e 30 mila collaboratori in tutta Italia, siamo organizzati per funzionare da “stimolo” permanente nei confronti di un governo che deve saper scegliere di vivere, non solo di sopravvivere. I pannicelli caldi, lo ripeto, sono cure palliative. A noi servono cure radicali per rimettere in moto la crescita e lo sviluppo”.