di Vittorio Pezzuto
È sovrano incontrastato della politica ma non lo si può nominare. Scavalca in ragione dell’emergenza gli steccati che delimitano i suoi poteri costituzionali – e quindi forma governi a sua misura, sgrida la maggioranza chiamata a sostenerli, irretisce le Camere (vedi alla voce F-35) – ma i parlamentari non possono citarlo in aula. Il suo nome è Giorgio Napolitano ma da ieri è diventato l’Innominabile. Lo ha deciso il presidente del Senato Piero Grasso che a sorpresa (soprattutto per chi conosce il regolamento di Palazzo Madama) ha interrotto il pentastellato Nicola Morra che voleva citarne le parole argomentando la sua sfiducia al ministro Alfano. «Non sono ammessi riferimenti al Capo dello Stato…» gli ha sibilato contro l’ex magistrato. Davvero strano, anche perché – con un’irritualità alla quale il Paese sembra essersi volentieri abituato – Napolitano aveva anticipato e definito l’esito del dibattito, blindando il Letta’s dream team contro ogni ipotesi di crisi. «Non si stacca la spina al governo» ha ordinato, così decretandone lo stato di paziente comatoso in crisi irreversibile. Una frase che appartiene al trito gergo giornalistico e che è suonata strana in bocca a chi dovrebbe sorvegliare altezza e rigore del linguaggio. Ma questo passa il convento presidenziale e Grasso ha creduto suo dovere piegare il dibattito a una finzione utile a salvarne la funzione: si ratifichi senza indugio l’ordine di giornata del Quirinale ma senza menzionarne l’inquilino, così salvaguardando l’illusione di una compiuta democrazia parlamentare. Chissà, forse anche noi giornalisti dovremo presto omettere – obtorto Colle – il cognome di Re Giorgio e limitarci a un prudente “N.”. Da non confondersi con Napoleone, quel puzzone di un francese che seppe perdere la battaglia decisiva e conobbe la vergogna dell’esilio.