di Mario Giovanna Maglie
Un giornale che come La Notizia è nato per tenere alta la bandiera e le ragioni del riformismo che l’Italia non può più attendere, aggiungo al quale deve essere profondamente rieducata, non può fare professione di ottimismo, anche se al governo, per fragile che ne sia la formazione, improbabile la composizione, va dato un tempo minimo, difficile chiamarlo luna di miele, prima di emettere un giudizio negativo. Non posso certamente farlo io se mi tocca a due giorni dall’insediamento vedere che il ministro dell’Economia tecnico e deciso dal presidente della Repubblica smentisce il premier, così faticosamente reperito e proprio dal presidente della Repubblica, che aveva parlato di rinegoziare con l’Ue le condizioni per l’uscita dalla crisi, che ha serenamente anche se per ora inutilmente sfidato la Merkel padrona di tutti noi. Ma i due si parlano? Pare di no, oppure pare che il governo dei tecnici sia già pronto a tornare più forte che pria, insieme all’assalto di un burocrazia tecnocratica che sta rapidamente occupando i posti chiave dei ministeri, pronta a usurpare i poteri dei ministri neo nominati, magari profittando di una non colpevole ma vistosa inesperienza. Intanto il capo della Bce, l’italiano Draghi, abbassa il tasso di interesse, eppure la Borsa ristagna, a prova che qui finanza ed economia ballano a gettone. Aggiungete alla miscela le dichiarazioni di personaggi che aspirano al bieco ruolo di cattivo maestro, come il grillino ideologo Franco Becchi, che annuncia serafico che la violenza alla Preiti è naturale, che la rivoluzione è alle porte, che siamo peggio del Venezuela e che non resta che il ricorso alle armi. Metteteci come ciliegina che personaggi per definizione di carica presunti autorevoli educatori e super partes come il presidente della Camera Laura Boldrini continuano imperterriti a tessere predicozzi su vittime che diventano carnefici per colpa della società.
A questo aggiungete gli striscioni degli autonomi mascherati che inneggiano allo stragista sotto vesti di disoccupato indignato, Preiti, e capirete che l’ottimismo non ha ragione di albergare in menti lucide. Altro che riduzione della spesa pubblica, riforma del lavoro, sgravi fiscali alle imprese, smantellamento della burocrazia: qui siamo ai compagni che sbagliano, al terrorismo strisciante, al ricatto nazionale.
Non mi consolano affatto i tagli simbolici ai festeggiamenti del due giugno o i mancati stipendi a ministri che siano pure parlamentari. Sia chiaro che sono giusti, per una questione di equità e di immagine, perché nessuno deve sprecare quando tanti patiscono.
Ma è insalatina di fronte a una fame atavica, e chi glielo dice ai dipendenti pubblici, agli spreconi delle medicine, a quelli che è sempre “piove governo ladro” mentre passano col rosso, timbrano il cartellino e subito dopo escono con l’imbroglio a fare la spesa o il secondo lavoro in nero, che non è sempre l’altro il colpevole, che una democrazia si nutre di responsabilità individuale o muore? Quale governo di larghe intese composto di quarantenni sorridenti, convinti che essere “ggiovani” sia sufficiente, avrà l’autorevolezza di denunciare i franchi tiratori nei rispettivi partiti e nel Paese? No che non sono ottimista, stavolta serve usare la ragione.
Enrico Letta e il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni non riescono evidentemente a parlarsi.
Letta aveva fatto intendere che c’erano dei margini per rimettere in discussione il rigore preteso dall’Europa e aumentare la crescita per risanare i conti. Anche il congelamento dell’Imu di giugno rientra tra queste misure per evitare di strozzare le famiglie in nome del rigore. Saccomanni che ribalta il tavolo. Durante la sua prima audizione al Senato sul Def, il documento economico finanziario, ha parlato delle misure italiane per affrontare la crisi “In questo momento non possono esserci rinegoziazioni con l’unione Europea per i parametri dell’Italia.
Uno sforamento o una indicazione di non rispetto dei limiti comporterebbe riduzioni dei margini di flessibilità”. E sulle idee di Letta, il ministro è ancora più duro: “Il discorso programmatico di Letta ha indicato le cose da fare.
Il Def indicherà quello che si può fare coerentemente con gli obiettivi per il superamento del disavanzo eccessivo. Per il resto andranno trovate coperture”. Insomma prima il rigore, poi la crescita, come se niente fosse. Non ci possiamo stare.