Per anni, le agenzie di rating erano “inutili”, “anonimi asserragliati nei grattacieli”, speculatori da contrastare con interrogazioni parlamentari. Per anni, Meloni le ha descritte come pericolose, capaci di mettere a rischio la sicurezza economica del Paese, strumenti opachi in mano a interessi privati. Nel 2018 giudicava i loro pronostici “attendibili come quelli di una cartomante”. Nel 2012 chiedeva addirittura che ne venissero resi noti i veri proprietari.
Poi Standard & Poor’s alza il rating dell’Italia da BBB a BBB+ e tutto cambia. I “pagliacci” diventano autorevoli. I loro giudizi – ieri considerati minacce alla patria – oggi diventano certificati di buona condotta economica. È bastata una lettera in più per riscrivere tredici anni di accuse, complotti, invettive. Ora i post ufficiali di Fratelli d’Italia celebrano la “stabilità del governo Meloni”, accusano la sinistra di “propaganda anti italiana” e parlano di un’economia “in ottima salute”.
È la consueta parabola della propaganda: quando i numeri vanno storti, si denuncia il complotto; quando sorridono, diventano verità di Stato. L’arte di sopravvivere alla realtà senza mai ammettere d’aver sbagliato. La coerenza, come la responsabilità, è un fastidio da riservare agli avversari.
Non è un cambio di rotta: è una mutazione genetica. L’ennesima. Nel 2017, quando Fitch abbassò il rating, Meloni accusò le agenzie di aver scelto i governi italiani. Nel 2018 si indignò perché il presidente Mattarella aveva tenuto conto del giudizio delle agenzie. Oggi, quelle stesse agenzie diventano totem da sventolare.
Ma in questa abiura continua, c’è un messaggio pericoloso: a essere declassata è la coerenza. Da tempo.