Come accade ormai da tempo, quando si parla del conflitto in Medio Oriente, le riunioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU diventano l’occasione per dichiarazioni al veleno, promesse vaghe e mai nessuna decisione. Non ha fatto eccezione l’ultima riunione, convocata a seguito degli attacchi israeliani su Beirut e su Teheran che hanno aumentato oltre misura il rischio di un’escalation regionale del conflitto mediorientale, dove, più che trovare una soluzione alle tensioni che infiammano l’area, ci si è limitati al solito durissimo scambio di accuse.
Infatti, durante la sessione, come riporta la BBC, la rappresentante palestinese alle Nazioni Unite, Feda Abdelhady, ha chiesto la cessazione immediata di quelle che ha definito “terribili” azioni da parte dell’esercito di Benjamin Netanyahu. La diplomatica palestinese, suscitando l’ira del delegato israeliano, ha detto che “la violenza e il terrore sono l’unica moneta di scambio di Israele”, prima di entrare nel merito dell’attacco, definito “sfacciato”, che Bibi ha voluto sferrare a Beirut per dare una lezione ai militanti filo-iraniani di Hezbollah.
“Non esiste una linea rossa per Israele”, ha spiegato Abdelhady, sostenendo che non c’è nulla che Israele non consideri un obiettivo militare. Per questo, appellandosi a tutti i presenti, ha chiesto: “Non lasciamo che Israele ci trascini sull’orlo dell’abisso. Il Consiglio di sicurezza deve agire subito”.
Onu, alta tensione al Consiglio di Sicurezza. Per la Palestina “Tel Aviv non si pone alcuna linea rossa, va fermato il massacro”, e Israele risponde: “Dalle Nazioni Unite tanta ipocrisia”
Parole a cui ha risposto molto duramente il rappresentante di Israele all’ONU, Gilad Erdan, secondo cui alle Nazioni Unite predomina una “marcia ipocrisia”. Questo perché la riunione è stata convocata dopo l’uccisione a Teheran del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, mentre, sempre secondo il diplomatico dello Stato ebraico, “la scorsa settimana, quando 12 bambini sono stati uccisi in un attacco missilistico sulle alture del Golan occupate da Israele”, nessuno ha pensato di “condannare Hezbollah e i suoi sostenitori iraniani per la carneficina”.
Ma non è tutto. Erdan, entrando nel merito del blitz in Libano, ha detto che Israele, a differenza dei suoi rivali, ha condotto attacchi “precisi” contro il comandante di Hezbollah, Fuad Shukur, che ha descritto come un “terrorista esperto con il sangue degli israeliani e di molti altri sulle sue mani”. Poi, concludendo il suo intervento, il diplomatico ha aggiunto che in ogni caso, Israele “non resterà inerte” ma “risponderà con grande forza contro coloro che ci danneggiano”.
Al di là del battibecco, l’unica certezza è che le Nazioni Unite, come già visto anche nel caso del conflitto in Ucraina, non sembra in grado di fare granché perché ostaggio di veti e contro-veti. Infatti, la riunione, tenuta al Palazzo di Vetro di New York, si è conclusa con i 15 Paesi membri dell’organismo che si sono limitati a sottolineare la necessità di intensificare gli sforzi diplomatici per scongiurare un ampliamento del conflitto armato in Medio Oriente. “Temiamo che la regione sia sull’orlo di una guerra totale”, ha detto al Consiglio il vice-rappresentante del Giappone presso l’ONU, Shino Mitsuko.
La nuova denuncia
Le Nazioni Unite potrebbero presto essere chiamate ad affrontare una nuova accusa mossa nei confronti di Netanyahu. Infatti, al termine della riunione, il ministero degli Esteri libanese ha presentato un reclamo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e all’Unione internazionale delle telecomunicazioni (UIT) a Ginevra per denunciare gli “attacchi informatici israeliani” contro il suo Paese che costituirebbero “una guerra informatica”.
Per questo il Libano, come si legge nel comunicato emesso dal dicastero stesso, esorta gli Stati membri del Consiglio di Sicurezza “a condannare gli attacchi informatici israeliani contro il Libano, che rappresentano una grave minaccia per i servizi di aviazione civile” e per “le installazioni e le infrastrutture vitali” del Paese.