I divorzi non sono mai semplici, figurarsi le scissioni. C’è chi se ne parte dal Pd, come Matteo Renzi o Maria Elena Boschi, a fondare Italia Viva. Chi se ne resta nel Pd, come il capogruppo ex renziano del Senato, Andrea Marcucci. Ma le cose più interessanti avvengono spesso nel back-office, dove c’è sempre qualcuno che finisce nel mezzo tra gli ex partner. E lontano dai riflettori tiene aperto, magari, un canale tra i due.
BUONI UFFICI. Paolo Aquilanti, ex segretario generale di Palazzo Chigi con Renzi, ne sa qualcosa. Il funzionario più vicino alla Boschi quand’era ministra delle riforme, ideatore di quel “canguro” che ha sterminato in Senato milioni di emendamenti alla riforma costituzionale renziana, si appresta oggi a diventare consigliere dei rapporti col Parlamento per Dario Franceschini, ministro dei beni culturali ma soprattutto capo delegazione del Pd al governo. Un tradimento? Macché: a caldeggiare attivamente la nomina di Aquilanti si dice sia stata proprio la Boschi, nel frattempo diventata capogruppo di Italia Viva alla Camera.
Un paradosso? Solo in apparenza. Romano, classe 1960, già consigliere parlamentare del Senato, Aquilanti ha cominciato a brillare nella filiera renziana nella primavera del 2014, quando da semplice consigliere della Boschi è diventato capo dipartimento dei rapporti con il Parlamento e, soprattutto, ascoltatissimo esperto per le strategie d’aula in occasione della riforma. Renzi lo ha premiato, nell’aprile del 2015, con la promozione a segretario generale della Presidenza del Consiglio, incarico mantenuto anche nel successivo governo Gentiloni grazie ai buoni uffici della Boschi, diventata sottosegretaria di Palazzo Chigi. Non ne ha voluto sapere, invece, Giuseppe Conte, benché l’ex ministra abbia tentato in tutti i modi di affibbiarglielo per poter tenere un piedino nel palazzo. Le è andata male.
RUOLO CHIAVE. Non che Aquilanti sia rimasto disoccupato o, peggio ancora, al verde. Per i primi tre anni al fianco della Boschi e di Renzi ha conservato il suo (ricco) stipendio di Palazzo Madama, cumulandolo con gli emolumenti di Palazzo Chigi. A 58 anni è andato in pensione dal Senato ma solo per salire ancora più in alto: nel novembre 2016 ha infatti ottenuto, sempre grazie a Renzi, la sostanziosa nomina al Consiglio di Stato oltre a quella, più ornamentale, di Cavaliere di Gran Croce nel gennaio 2017. Il Consiglio di Stato all’epoca non ha gradito la sua richiesta di essere messo “fuori ruolo” così da restare a Palazzo Chigi (e cumulare i due stipendi), e quindi è stato costretto a un’aspettativa senza retribuzione; il sacrificio gli ha garantito comunque l’approdo a una poltrona di lusso per il dopo-Chigi, nel giugno 2018.
Oggi il consigliere Aquilanti si appresta, con Franceschini, a ricoprire un ruolo apparentemente lontano dai riflettori, e per di più con incarico gratuito: sarà però l’uomo-chiave del ministero ombra del Pd, il contraltare ufficioso degli uffici che fanno capo a 5 Stelle Federico D’Incà, e senza dubbio ne approfitterà, c’è da scommetterci, per tenere le p.r. pure per Italia Viva. Tra i due litiganti, si sa, il terzo gode sempre.