Ok del Senato alla risoluzione sull’Ucraina. Doveva essere una formalità e, invece, trovare la quadra sul testo della maggioranza è stata un complicato percorso a ostacoli.
In un continuo rincorrersi di riunioni, vertici e crisi di nervi, alla fine l’accordo tra le forze che supportano il governo di Mario Draghi è arrivato.
Un’intesa arrivata in extremis, ossia quando erano già in corso gli interventi dopo le parole del premier, che ha permesso al Senato di salvare la faccia, presentando un testo condiviso (approvato con 219 Sì e 20 no) anziché risoluzioni differenziate.
Accordo sulla risoluzione
La svolta è arrivata nel tardo pomeriggio quando è iniziato a circolare il testo del documento. E l’attenzione di tutti, per capire chi è uscito vincitore, è caduta sul modo in cui è stato risolto il nodo sul ruolo che Camera e Senato devono avere nella gestione della crisi derivata dall’invasione russa dell’Ucraina.
“Il Parlamento impegna il governo a continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari” si legge nella risoluzione.
In altre parole è stato trovato un compromesso. Da un lato può dirsi soddisfatto il Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali che hanno battuto i pugni per chiedere di dare più peso al Parlamento, impegnando Draghi a relazionarlo puntualmente.
Dall’altro, però, possono brindare anche tutti gli altri perché viene specificato che tale coinvolgimento delle Camere poggerà sulle disposizioni inserite nel primo decreto Ucraina che, come noto, stabilisce come l’esecutivo debba riferire in aula ogni tre mesi e che dà facoltà al governo di predisporre in autonomia, fino al 31 dicembre, iniziative sia umanitarie che di invio di armi. Insomma la realtà è che non ci sono né vincitori e né vinti.
L’intervento di Draghi
Insomma alla fine dal Senato è arrivato un sostanziale via libera alla politica fin qui perseguita dal governo. E questa è stata spiegata, in un breve intervento durato nemmeno 20 minuti, dallo stesso premier Mario Draghi che a Palazzo Madama, in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, ha fatto il punto di questa assurda guerra.
“Il governo italiano, insieme ai partner dell’Unione europea e del G7, intende continuare a sostenere l’Ucraina, così come questo Parlamento ci ha dato mandato di fare” ha spiegato.
“La strategia dell’Italia, in accordo con l’Unione europea e gli alleati del G7, si muove su due fronti: sosteniamo l’Ucraina e imponiamo sanzioni alla Russia, perché Mosca cessi le ostilità e accetti di sedersi veramente al tavolo dei negoziati” racconta il presidente del Consiglio.
Del resto “le sanzioni alla Russia stanno funzionando”, ma “i nostri canali di dialogo rimangono aperti. Non smetteremo di cercare la pace, una pace nei termini che vorrà l’Ucraina. Solo una pace concordata e non subita può essere duratura”, ha detto.
Non solo. “A Kiev ho ribadito che l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea, e vuole che abbia lo status di candidato” aggiunge il premier. Ma la situazione, di ora in ora, si aggrava perché “le forniture di grano sono a rischio nei Paesi più poveri del mondo” a causa “dei bombardamenti russi che hanno distrutto il magazzino di uno dei più grandi terminali agricoli dell’Ucraina, nel porto di Mykolaiv” a cui si aggiunge il fatto che “la produzione di cereali potrebbe calare tra il 40 e il 50% rispetto all’anno scorso”.
Per questo, secondo Draghi, non c’è più tempo da perdere e “dopo vari tentativi falliti, non vedo alternativa a una risoluzione delle Nazioni Unite che definisca i tempi di questa operazione, con l’Onu che si faccia garante della sua realizzazione”.