“Voteranno per mandarmi a processo. I senatori della Lega non si opporranno e vedremo. Ritengo di aver difeso e protetto l’onore, la dignità, la sicurezza e i confini del mio paese”. Queste le parole di Matteo Salvini alla vigilia del voto definitivo in aula al Senato sulla vicenda Gregoretti. Ma cosa vuol dire che i suoi “non si opporranno?” Una formula non chiarissima in verità: voteranno sì all’autorizzazione a procedere richiesta dai magistrati siciliani che accusano l’ex ministro dell’Interno di sequestro di persona plurimo e aggravato, coerentemente a quanto già avvenuto in Giunta delle immunità? In quel caso fu lo stesso leader della Lega, in piena campagna elettorale per l’Emilia Romagna a chiedere di esprimersi in tal senso.
Fu una mossa propagandistica, è vero, e non ha portato i risultati sperati ma comunque sia è innegabile che parte della popolazione – sicuramente l’elettorato di centrodestra – considera quello della Gregoretti un “caso politico” e non comprende il motivo per cui Salvini debba andare a processo. Anche per questo, nonostante gli avvertimenti dell’avvocato e senatrice leghista Giulia Bongiorno, che in merito è stata chiarissima, “Io spero davvero che Matteo Salvini decida di non avallare la linea dell’autorizzazione a procedere nei suoi confronti”, un dietrofront spudorato di Salvini sarebbe difficile da far digerire. La formula usata è dunque volutamente ambigua: non dice ai suoi di votare no al processo ma neanche sì. Che faranno oggi? Si asterranno? Usciranno dall’aula? Le parole del capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo non aiutano a fare chiarezza: “Faremo quello che ci dice Salvini”.
E questa non è certo una novità, certo invece è il fatto che, finita la sbornia elettorale, tocca fare i conti con la realtà e le conseguenze di un eventuale processo a carico del Capitano (che comunque con ogni probabilità ci sarà a prescindere della posizione dei leghisti ma un loro sì potrebbe suonare come un’ammissione di colpevolezza) potrebbe portare a conseguenze non esattamente ottimali. Ad esempio, già una condanna in primo grado farebbe scattare l’incandidabilità prevista dalla Legge Severino e se si riaprisse la partita delle urne a livello nazionale, Salvini non solo non si potrebbe candidare ma non potrebbe più – ovviamente – aspirare a Palazzo Chigi. Intanto, lo stesso Matteo Salvini oggi in tarda mattinata interverrà in aula nel corso del dibattito per dimostrare di aver agito, in quei caldi giorni di luglio, nell’interesse pubblico.
Intervento che seguirà quello della relatrice Erika Stefani (Lega) che dovrà illustrare all’assemblea il lavoro svolto dalla Giunta, dove appunto i leghisti si espressero per il sì al processo, e nello stesso tempo giustificare il (probabile) cambio di condotta. Anche perché Forza Italia e Fratelli d’Italia presenteranno un documento congiunto con il quale chiederanno di votare diversamente dall’esito della Giunta delle immunità del 20 gennaio e cioè di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.