C’è un dato oggettivo che rende chiaro, comunque la si veda, il risultato raggiunto in questa legislatura su spinta pentastellata. Dal 1983 ad oggi chiunque, da destra a sinistra, abbia annunciato una riforma sul taglio dei parlamentari, ha alla fine fallito. Qualcuno ci ha anche provato concretamente. Altri ancora sono arrivati a un passo. Nessuno, però, ha raggiunto il fatidico traguardo al contrario di quanto fatto dai 5 stelle, a meno che non si indica un referendum che potrebbe anche cambiare quanto stabilito in Parlamento. E tutto questo in tempi celeri considerando che è passato poco più di un anno da quando l’attuale sottosegretario (e ieri ministro) Riccardo Fraccaro ha depositato il disegno di legge costituzionale che porterà i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.
CORREVA L’ANNO… Ma vediamo a questo punto chi e come aveva provato a limitare il numero dei parlamentari. Il primo tentativo, come detto, risale al 1983 quando Camera e Senato approvarono la prima commissione bicamerale per le riforme costituzionali, allora presieduta dal liberale Aldo Bozzi, il quale presentò nella relazione conclusiva (nel 1985) due ipotesi di composizione del nuovo Parlamento: 514 deputati e 282 senatori la prima; 500-480 deputati e 250-240 senatori la seconda. Le diverse proposte di legge che vennero presentate sula scia della relazione, però, non vennero mai neanche calendarizzate. Steso tentativo venne portato avanti nel ’93 dalla seconda bicamerale, questa volta presieduta da Ciriaco De Mita e Nilde Iotti. L’idea era esattamente uguale a quella pentastellata (400 + 200) ma la fine anticipata della legislatura bloccò ogni progetto. E arriviamo così al 1997 con la terza bicamerale, alla cui presidenza sedeva Massimo D’Alema. Il progetto elaborato prevedeva un numero di deputati tra 400 e 500, più un Senato di 200 membri, ma da integrare con altri 200 rappresentati delle Regioni. Risultato? Nulla di fatto.
CHI CI è ANDATO VICINO. Arriviamo, così, al primo progetto andato quasi in porto: quello della “devolution” con il centrodestra di Silvio Berlusconi. La proposta conteneva, tra le altre cose, anche una riduzione dei deputati a 500 (più 3 deputati a vita al posto dei senatori e più 18 deputati eletti all’estero); i senatori, invece, scendevano a 252. Il taglio naufragò con tutta la riforma, bocciata dagli italiani nel referendum costituzionale del 25 giugno 2006. Esattamente come capitato con l’ormai famosa riforma voluta da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi – bocciata dal referendum del 4 dicembre 2016 – che, invece, “aboliva” il Senato sostituendolo con un consiglio di 100 rappresentati degli enti locali (più 5 senatori nominati dal presidente della Repubblica).
Nel mezzo, però, si contano altri due tentativi, nel 2007 e nel 2012. La prima proposta, nata sulla scia della devolution, prevedeva una Camera con 512 deputati (12 eletti all’estero) e un Senato di 186 membri (6 all’estero) ma anche in questo caso tutto naufragò (dopo i primi ok in commissione) per la fine anticipata della legislatura; la seconda proposta, invece, prevedeva 508 deputati e 250 senatori: il ddl fu approvato dal Senato, ma si arenò alla Camera. Questa volta, invece, le cose sembrano andare per il verso giusto con una riforma che ha ottenuto in tutti i 4 passaggi parlamentari un accordo ampio tra le forze politiche. Una medaglia al petto per i 5 stelle, certamente. Ma un risultato che, in ogni caso, potrebbe cambiare la vita parlamentare del nostro Paese.