Un discorso commovente. Tra lacrime e tripudi. Ma nel suo commiato dalla Casa Bianca, Barack Obama, ha omesso qualsiasi auto critica per questi otto anni alla guida degli Stati Uniti, in cui l’attenzione al ceto medio è stata deficitaria e la politica estera è stata un disastro. Davanti a una platea di circa 20mila persone, al McCormick Place di Chicago, dove festeggiò la sua vittoria alle elezioni del 2012, c’è stato di tutto, come era prevedibile. E l’obiettivo, seppure senza essere nominato, era Donald Trump. Il nome del tycoon è in realtà stato pronunciato una solo una volta, quando è stata promessa una transizione normale, ma aleggiava in numerosi passaggi dell’intervento. Al contrario di un’analisi della sconfitta e delle decisione errate assunte in questi anni.
“La nostra democrazia è minacciata quando la consideriamo garantita. Quando stiamo seduti a criticare chi è stato eletto, e non ci chiediamo che ruolo abbiamo avuto nel lasciarlo eleggere”, ha detto il presidente americano che il 20 gennaio passerà il testimone all’odiato Trump, che però è stato proprio avvantaggiato dagli errori commessi da Obama. “Il più importante incarico in una democrazia è il vostro, dice, è il mestiere del cittadino. Non solo quando ci sono le elezioni, non solo quando i vostri interessi sono in gioco”, ha poi aggiunto il presidente uscente. Non è mancato l’invito a fare politica attiva, andando oltre il web: “Se siete stanchi di discutere con degli estranei su Internet provate a incontrarne qualcuno in carne e ossa. Candidatevi per un incarico pubblico. Mettetevi in gioco, scendete in campo”.
Da Obama è arrivata anche una promessa, che suona come un impegno contro il suo erede a Washington. “È stato l’onore della mia vita servirvi, ma non mi fermerò qui. Sarò al vostro fianco, da cittadino”. Parole che confermano il ruolo che avrà tra i democratici, alle prese con una profonda crisi dopo l’inattesa sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali. E quindi Barack ha rilanciato il suo grande slogan: “Yes we can, yes we did, yes we can”. Ossia “possiamo farlo, lo abbiamo fatto, e lo faremo ancora”.