Carlo Conti, prossimo direttore artistico di Sanremo ha tirato un sospiro di sollievo. Intervenuto nel podcast Pezzi di Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano, il presentatore ha detto: “Quello che mi piace, e che è arrivato musicalmente soprattutto dai cantautori, non è più un macro mondo, cioè non vanno a parlare dell’immigrazione o della guerra, ma si ritorna un po’ a parlare del micromondo, della famiglia, dei rapporti personali”. Niente guerra e niente migranti, quindi.
Viva il “micromondo” che tratta delle beghe di cortile e che se ne frega di quello che succede là fuori, dove il “macromondo” confusionario ci costringe a prendere posizioni che rischiano di far piangere il Re. Nel suo intervento Conti ha anche spiegato che nella prossima edizione del festival ci sarà meno impegno sociale ma sarà più “umano”. Cosa ci sia di inumano nell’occuparsi della disperazione e dei conflitti non ci è dato saperlo, forse Conti ce lo potrà spiegare in una delle future conferenze stampa. Non saremo così sospettosi da notare l’incredibile coincidenza di una nuova musica senza temi divisivi proprio nel mentre di un governo che ritiene gli artisti buoni e bravi solo se si fermano al limite dell’avanspettacolo impolitico.
Possiamo però fare notare a Carlo Conti che la musica (come l’arte) che decide di stringere gli orizzonti da raccontare assomigli moltissimo a una nuova era di sovranismo musicale. Abbiamo già la sigla pronta: “E sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re fa male al ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam, e sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re fa male al ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam!”.