Come un fulmine a ciel sereno. “Andare alle elezioni a giugno o peggio ad aprile rappresenta a mio avviso un serio rischio per la tenuta del Paese”. Letta la rassegna stampa, ieri mattina, Matteo Renzi avrà pensato che a pronunciare quelle parole fosse stato un esponente dell’opposizione o della minoranza del Pd. E invece no. A guardar bene, l’ex premier si è accorto che a metterle a verbale, in un’intervista dal Corriere della Sera, è stato nientemeno che Carlo Calenda. Sì, proprio il ministro dello Sviluppo economico che l’ex sindaco di Firenze aveva scelto a maggio dell’anno scorso per sostituire la dimissionaria Federica Guidi, travolta dall’affaire Tempa Rossa (la sua posizione è stata poi archiviata). Frase pronunciata “a titolo personale, non essendo iscritto ad alcun partito”, ha precisato Calenda. Ma è davvero così? Qualcuno sostiene che non si sia trattato soltanto di una casualità. Arrivando addirittura ad ipotizzare che le esternazioni del numero uno del Mise siano in realtà espressione del pensiero di qualcun altro. Ieri, infatti, fra i dem c’era chi ricordava le mai nascoste simpatie di Pier Luigi Bersani per il ministro dello Sviluppo economico. Non è un mistero che, già prima del referendum, l’ex segretario del Pd avesse individuato in Calenda il profilo giusto per sostituire Renzi in caso di sconfitta alle urne. Scenario che poi non si è concretizzato visto che a Palazzo Chigi è andato Paolo Gentiloni. Che i rapporti fra i due siano di stima reciproca è un dato di fatto. “Oggi ho letto l’intervento di Calenda”, diceva Bersani il 28 giugno scorso riferendosi all’editoriale scritto dal titolare del Mise e pubblicato sul quotidiano di via Solferino. “Vedere un ministro di questo Governo che parla di disuguaglianza mi ha emozionato…”.
Intrecci – Non solo. Ieri, dopo l’intervista al Corriere, anche un altro illustre esponente della minoranza dem come Massimo Mucchetti ha tessuto le lodi del ministro, “equilibrato nel linguaggio e saggio nel contenuto”. Insomma, “rappresenta una risorsa del Paese”. Ma c’è di più. Quando l’ex “montezemoliano” (Calenda è stato coordinatore di Italia Futura, il think tank dell’ex presidente della Ferrari) è arrivato al Mise, nel nominare il suo staff non ha “pescato” dal mondo renziano. Al contrario, per ricoprire il ruolo di vice capo di gabinetto, ha scelto Simonetta Moleti, che aveva già fatto parte dello staff di Bersani quando quest’ultimo sedeva allo Sviluppo economico, e Barbara Luisi, anche lei considerata di fede bersaniana.
L’orizzonte – Ecco perché ora potrebbe ritornare di moda una vecchia idea dell’ex numero uno del Nazareno: quella di “dividere” le figure di segretario e candidato premier. Per la corsa alla poltrona oggi occupata da Renzi la minoranza ha già schierato Emiliano e Speranza. Figure che però non ambiscono a Palazzo Chigi quanto piuttosto a raddrizzare la barra del partito, riportandolo “a sinistra”. A quel punto, quello di Calenda sarebbe l’identikit perfetto per il dopo-Gentiloni.