Quando sono in ballo grandi istituzioni come la Cassa Depositi e Prestiti i cambiamenti sono per tradizione lenti, più annunciati che effettivamente inseguiti da chi predica la modernità e poi bazzica la conservazione. Il mondo che cambia e l’urgentissima necessità di far crescere la nostra economia non ci permettono però di gettar via altro tempo, dopo tutto quello sprecato inseguendo rivoluzioni liberali mai viste e rottamatori finiti prematuramente rottamati.
Quindi al governo gialloverde non è lasciata scelta: o si fanno certe riforme o il malcontento farà finire presto la luna di miele che a tutt’oggi continua con gli elettori di Cinque Stelle e Lega. Per questo in pochi mesi si è già messa molta carne al fuoco, in qualche caso cucinando come mai in passato questioni come l’accoglienza dei migranti, la sicurezza, il contrasto al lavoro precario determinato dal decreto dignità. Su altri fronti si sta combattendo, a cominciare dalla riaffermazione del diritto di gestire la nostra politica economica, approvando una Manovra che invece è fortemente contestata dalla Commissione europea e dai mercati. Una partita che non riguarda solo la crescita, ma le fondamenta della democrazia e della sovranità nazionale. Un lusso che secondo alcuni il nostro imponente debito pubblico non ci consente. Perciò è nel riordino delle leve finanziarie e di intervento dello Stato nell’economia che ci giochiamo il diritto di essere attori veramente liberi e forti nel contesto internazionale.
Qui però entriamo nel perimetro delle imprese titaniche, perché queste leve sono delicatissime e al loro funzionamento è appesa la fiducia degli italiani su un valore fondamentale come il risparmio. Pensiamo soltanto all’affidamento che ventisei milioni di italiani ripongono nei libretti postali, dove transitano 250 miliardi di euro che proprio la Cassa Depositi e Prestiti gestisce bilanciando la sicurezza degli investimenti con la spinta a far crescere complessivamente il Paese. Agire su leve di questo genere è dunque fondamentale ma anche estremamente complesso, tanto che ad oggi la politica si è accontentata di usare lo strumento come un proprio bancomat per le necessità industriali del momento. C’era una grande azienda in crisi? Siamo senza infrastrutture e i gruppi che possono realizzarle litigano tra loro? A metterci i soldi si chiamava regolarmente la Cassa, che in una certa epoca arrivò a salvare persino i bilanci di importanti Comuni con acquisizioni tanto discutibili quanto provvidenziali.
Nella Cassa Depositi ci sono però i soldi privati degli italiani e delle Fondazioni bancarie, e per quanto le risorse siano state utilizzate per finalità pubbliche, alla fine non ne è stato fatto l’uso strategico che serviva, come prova inequivocabilmente il ritardo che registriamo nelle grandi reti dei servizi che non permettono all’Italia di svilupparsi come invece riescono a fare i nostri competitor europei. Serve dunque una forte scossa alla Cassa e ieri con la presentazione del piano industriale per i prossimi tre anni questa scossa è arrivata non solo nei numeri forniti dall’amministratore delegato Fabrizio Palermo, ma nella filosofia che porterà l’istituto a privilegiare gli investimenti a forte sostenibilità dal punto di vista sociale, ambientale e industriale. La Cassa Depositi mobiliterà perciò oltre 110 miliardi di euro di risorse proprie per la crescita economica e lo sviluppo sostenibile del Paese, attivando oltre 90 miliardi di risorse aggiuntive da investitori privati e altre istituzioni territoriali, nazionali e sovranazionali.
Sulla strategia della Cassa ora è naturale che ci sia una forte attenzione. Palermo è stato fortemente voluto dai Cinque Stelle, non certo per un’appartenenza che non c’è, ma per la discontinuità che un giovane Ad può dare rispetto alla politica aziendale del passato. Discontinuità anticipata da iniziative come il piano per le città annunciato nelle scorse settimane e che è oggi un faro per la rinascita di Genova dopo la tragedia del ponte Morandi. Per la Cdp inoltre si apre un’occasione storica. Da quando è uscita dal perimetro pubblico, grazie all’ingresso nel capitale di investitori privati come le Fondazioni bancarie, il peso di un establishment come quello rappresentato dal presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti è stato più che rilevante. Ora, con la prossima uscita di Guzzetti cambia anche questo riferimento e i vertici possono agire con le mani libere. Loro hanno una grande opportunità; l’Italia una grande speranza.