Matteo Salvini e Roberto Maroni (Lega) rilanciano il maggioritario, per Giovanni Toti (FI) e Roberto Calderoli (Lega) è necessaria l’introduzione di un premio di governabilità, il Pd, accusata la batosta ai ballottaggi, prende tempo. Archiviate le Amministrative la legge elettorale, crocevia fondamentale in vista delle prossime Politiche, torna a turbare i sonni dei partiti. Turbare, sì, perché come nella più classica delle commedie alle quali il Parlamento ci ha abituati ognuno vorrebbe cucirsi addosso un abito su misura, un po’ come accaduto ai tempi dell’Italicum di renziana memoria (prima della scure della Consulta). Ma alla fine qualcuno, com’è ovvio, si ritroverà col cerino in mano. La legge va fatta, su questo il Quirinale non ha dubbi. Per Sergio Mattarella andare a votare coi due Consultellum rappresenterebbe un rischio troppo grande: perciò bisogna quantomeno “armonizzare” i sistemi.
Caccia ai numeri – Ma ad oggi, al di là di dichiarazioni e prese di posizione, tra Camera e Senato non sembra esistere una maggioranza in grado di partorire alcunché. “La conditio sine qua non dalla quale ripartire è quella di cercare e trovare un accordo partendo da Palazzo Madama”, lì dove i numeri, complice pure l’esponenziale crescita di gruppi e gruppetti, sono più ballerini, suggerisce Pino Pisicchio parlando con La Notizia.
Per il presidente del Gruppo Misto di Montecitorio, che ci tiene a sottolineare il suo spirito proporzionalista, i due pilastri sui quali la nuova legge elettorale dovrebbe reggersi sono “la possibilità di formare delle coalizioni” e “l’introduzione di un premio di maggioranza” che garantisca a chi arriva primo di governare. Insomma, conclude l’ex sottosegretario dei Governi Ciampi e Amato, “va accantonata la mentalità maggioritaria e solitarista”, a cominciare proprio dal Pd di Matteo Renzi, che però di stringere accordi pre-elettorali coi vari Pisapia, Fratoianni e – soprattutto – Bersani e D’Alema non vuole minimamente saperne. Almeno per ora. Ma anche nella metà campo avversaria la musica che suona è più o meno la stessa. Il maggioritario rilanciato dal leader della Lega e dal governatore della Lombardia, cioè il Mattarellum, è da sempre inviso a Silvio Berlusconi, che è arrivato a definirlo “inaccettabile”. Nientemeno.
Rischio autogol – Il Cavaliere è il grande sponsor del “Tedeschellum”, che (nonostante sia sostanzialmente naufragato) sul piano della distribuzione dei seggi è al 100 per cento un proporzionale: l’unico correttivo è la soglia di sbarramento del 5 per cento fissata ad hoc per lasciare fuori dal Palazzo i partitini, a cominciare proprio da Alternativa popolare (Ap) di Angelino Alfano. Male che vada, è il ragionamento dell’ex premier, c’è sempre la strada delle larghe intese, con la quale il Cav. arginerebbe l’eventuale svolta lepenista del Centrodestra targata Salvini. Ma non è detto che questo scenario si manifesti, perché se alle urne grillini e leghisti dovessero andare oltre le più rosee aspettative potrebbe formarsi una maggioranza 5 Stelle-Lega che alla fine, nonostante i niet dell’ala ortodossa del Movimento, potrebbe andare bene a entrambi. Per “Silvio” e “Matteo” sarebbe il più clamoroso degli autogol.
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