Ingegner Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento nucleare di Enea, che vuol dire nucleare di IV generazione?
“Siamo partiti negli anni ’50 con la I generazione, prototipi derivati da applicazioni militari. Oggi siamo alla II generazione e da qualche anno sta iniziando a proporsi la III generazione di centrali nucleari. La differenza tra queste ultime due generazioni è soprattutto sulla sicurezza. Per la II le protezioni si attivano grazie a generatori diesel esterni mentre per la III si attivano automaticamente secondo le leggi fisiche. Una maggior sicurezza ma anche un aggravio piuttosto alto sul costo di costruzione. Con la IV generazione si rivoluziona l’industria nucleare. Si parla di reattori ‘veloci’ moderati con metalli liquidi invece che con acqua come gli attuali (detti ‘lenti’). Un utilizzo di Uranio più efficiente ma anche l’utilizzo come ‘combustibile’ delle scorie prodotte dalla fissione stessa. In questo modo si risolve il problema del Plutonio, che se per i reattori attuali è uno scarto difficile da gestire in sicurezza, può essere utilizzato per la costruzione di bombe atomiche, diventerà materia prima da ‘bruciare’ in quelli di IV. A questo punto grazie al ‘riprocessamento’, il sistema che serve a recuperare l’Uranio non bruciato durante la reazione nucleare, sistema oggi costoso e tecnologicamente complicato, si potrà parlare di un nucleare completamente sostenibile”.
Quando si parla di IV generazione si parla soprattutto di Avanced Modular Reactor (Amr, nda). Cosa sono?
“Si tratta di costruire reattori di IV generazione di piccole dimensioni, maneggevoli, flessibili e modulari. Reattori di 200 MW che, solo se serve, messi in parallelo possono però arrivare alle potenze di quelli attuali, quindi 1000 MW. Reattori costruiti in serie, con componentistica ridotta, fabbricati in siti industriali anche lontani dal luogo dove si costruirà la centrale, da assemblare sul posto. L’idea è quella di non avere la mega centrale ma una costruita su misura al fabbisogno energetico che serve. Grazie agli AMR si potrà sostituire le centrali tradizionali così da sfruttare la rete elettrica esistente. Così come oggi le multi utility forniscono energia producendola con i fossili o le rinnovabili, domani potrebbero avere le loro mini centrali nucleari magari dislocate vicino ai fruitori. Si parla di un’industria nucleare rinnovata e attenta all’ambiente”.
Parliamo della collaborazione di Enea con NewCleo, l’azienda che si propone di costruire gli Amr.
“Stefano Buono, Ceo di NewCleo, lo conosco da anni. La sua azienda ha intenzione di costruire il primo prototipo non nucleare nel 2030 e tra il 2032 ed il 2035 costruire il primo Amr da 200 MW da allacciare alla rete elettrica. Lo faranno in Francia o in Inghilterra, dove ci sono procedure già consolidate e una maggiore accettabilità sociale del nucleare. Per Buono gli AMR potranno essere una realtà largamente diffusa alla fine del prossimo decennio. Il nostro accordo prevede l’uso oneroso di alcune aree del nostro laboratorio del Brasimone, un centro di ricerca costruito negli appennini bolognesi, e il nostro aiuto tecnico per portare avanti il progetto. Per il servizio reso ci viene corrisposto il controvalore economico del trasferimento del know-how, oltre alla co-titolarità di eventuali brevetti che dovessero risultare dalla collaborazione. Oggi in quel laboratorio noi e NewCleo stiamo realizzando un mini reattore da 10 MW raffreddato a piombo fuso, al posto del core nucleare ci sarà una resistenza elettrica, per testare il sistema che produrrà l’energia elettrica”.
Cosa serve per costruire un Amr completo di reattore nucleare.
“Servono i componenti del reattore che devono essere progettati, costruiti, collaudati e qualificati, perché altamente innovativi. Ed Enea è stata scelta per le sue competenze nucleari, nonostante dal 1987 la parola nucleare, in Italia, sia sempre stata vista con un certo malanimo”.