C’è un garantismo che si esercita solo quando serve a proteggere i potenti. Vladimir Putin lo sa bene. Dal 17 marzo 2023, data in cui la Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di arresto per il presidente russo accusato di crimini di guerra, quell’ordine è rimasto bloccato nei cassetti del ministero della giustizia italiano. Secondo quanto ricostruito dal Corriere della Sera, Carlo Nordio ha scelto di non trasmettere il provvedimento alla Procura generale di Roma, impedendo così che il fascicolo venisse inoltrato alla Corte d’appello per renderlo esecutivo. Nessun atto formale, nessuna spiegazione ufficiale: semplicemente, il mandato non ha mai varcato la soglia di via Arenula.
Eppure la legge italiana è chiara. Dal 2012 l’Italia ha recepito lo Statuto di Roma che istituisce la Corte penale internazionale e ne prevede la piena cooperazione. Il Guardasigilli ha il compito di ricevere le richieste provenienti dalla Cpi e trasmetterle ai magistrati competenti per dar loro esecuzione. È il principio della giustizia internazionale che dovrebbe garantire che nessuno, nemmeno i capi di Stato, sfugga a responsabilità in caso di genocidio, crimini di guerra o contro l’umanità.
Una politica che blocca la giustizia
Non è la prima volta che il ministro della giustizia italiano si ritrova al centro delle polemiche per la (mancata?) collaborazione con la Corte penale internazionale. Nel caso del generale libico Osama Najeem Almasri, arrestato in Italia su mandato della Cpi, Nordio si è limitato a non rispondere ai magistrati e il generale è stato rimpatriato senza che il procedimento di estradizione si avviasse.
Con Putin la strategia è ancora più sottile. Il mandato non è mai stato trasmesso. Nessuna occasione per sollevare la questione pubblicamente, nessun atto da contestare. Una scelta di omissione preventiva che svuota di fatto l’impegno dell’Italia nella giustizia internazionale. E quando la stampa svela il blocco, Nordio risponde: “Il presidente russo Vladimir Putin non è mai transitato in territorio italiano né mai si è avuta notizia che fosse in procinto di farvi ingresso. La presenza della persona o il suo imminente ingresso nel territorio dello Stato sono condizioni essenziali per i provvedimenti conseguenti”.
Il garantismo di Nordio e dell’Italia che fa comodo a Putin
Il governo rivendica il principio di immunità per i capi di Stato e di governo, sostenendo che non possano essere arrestati finché in carica. Una tesi già sostenuta nei confronti del premier israeliano, Benjamin Neatanyahu, su cui pende un mandato d’arresto della Cpi analogo a quello di Putin, ma contestata dalla stessa Corte penale internazionale, che ribadisce la propria giurisdizione per i crimini di guerra. La scelta di Nordio e del governo Meloni è quindi politica, non giuridica: non eseguire i mandati per non compromettere i rapporti diplomatici con Mosca e con Tel Aviv.
La difesa del ministro è una cortina fumogena che confonde il diritto con la diplomazia. Non si tratta di applicare un provvedimento a un leader presente in Italia: si tratta di rispettare il meccanismo che rende operativo il sistema internazionale di giustizia. La trasmissione del mandato alla Procura generale serve proprio a garantire che la giustizia possa agire nel tempo, non solo in caso di ingresso immediato. Fermarlo significa svuotare la Cpi del suo potere. Significa inchinarsi a Mosca.
Ecco chi sono i veri putiniani: non quelli che fanno propaganda con le bandiere, ma quelli che fermano le carte e lasciano che l’impunità si perpetui. Chi difende l’inviolabilità di Putin e Netanyahu in nome di un garantismo di comodo. Un garantismo che non vale per tutti, ma solo per chi può permetterselo.
Il danno non è solo simbolico. Lasciare inapplicato il mandato della Corte dell’Aia significa minare l’intero sistema di giustizia internazionale, quello stesso sistema che dovrebbe garantire equilibrio tra Stati e accountability per chi commette atrocità. L’Italia, che ha firmato trattati e si è impegnata a rispettarli, si tira indietro. Preferisce difendere i rapporti di potere anziché la legge. E intanto, nelle aule del governo, si spiega che tutto è conforme al diritto. Ma è solo la solita storia: il diritto piegato alla convenienza geopolitica.