Non solo Stellantis, l’Italia rischia di perdere l’intera industria dell’auto

La crisi non riguarda solo Stellantis: l'industria dell'auto in Italia è sempre più vicina al collasso, soprattutto per colpa dell'inazione.

Non solo Stellantis, l’Italia rischia di perdere l’intera industria dell’auto

L’Italia non si prepara al futuro, lo subisce. Lo studio di Francesco Zirpoli, pubblicato su Lavoce.info, non lascia spazio a interpretazioni: il passaggio dai motori endotermici a quelli elettrici non è solo una questione ambientale. È un test sulla capacità del nostro sistema industriale di adattarsi. E finora, stiamo fallendo.

Industria dell’auto, una filiera al collasso

In Italia, il settore automotive coinvolge 2.400 aziende e dà lavoro a oltre 250 mila persone. Di queste imprese, 93 dipendono esclusivamente dalla produzione di componenti per motori endotermici: se non riconvertite, spariranno entro il 2035, portandosi via 14 mila posti di lavoro. Altre 199 aziende, legate sia all’endotermico sia all’elettrico, navigano a vista. Parliamo di quasi 30 mila lavoratori. Il resto della filiera – 2.108 aziende con oltre 215 mila occupati – appare meno esposta, ma nessuno si illuda: una filiera si regge sull’interconnessione. Se cade un anello, la catena si spezza.

Il ritardo italiano

Non è la tecnologia a mancare, ma una strategia. La crisi non nasce dall’incompetenza delle imprese, ma dalla mancanza di commesse e investimenti. Mentre Francia e Germania spingono sulla transizione, l’Italia resta bloccata in una narrazione politica che difende l’indifendibile. Un gioco di prestigio, con cui si tenta di far passare il motore endotermico come una bandiera della nostra identità industriale, ignorando che il mercato globale sta già decidendo per noi.

Le imprese italiane si trovano con un piede nel passato e nessuna rete di sicurezza nel futuro. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato a gennaio, è un documento senza sostanza, e il Pnrr sembra incapace di affrontare la crisi strutturale del settore. Manca un piano per sostenere le riconversioni tecnologiche, mancano incentivi per chi inizia la transizione e, soprattutto, manca la volontà politica di abbracciare il cambiamento.

Un’opportunità scambiata per minaccia

La narrazione politica dominante vede la transizione ecologica come un’imposizione dall’alto, una minaccia per l’economia. È un errore madornale. Il cambiamento è già qui, e l’Italia rischia di restare ai margini. La Cina domina la produzione globale di batterie, la Germania accelera sulla riconversione della sua industria, mentre noi continuiamo a discutere come se il futuro potesse aspettarci. Non può. E non lo farà.

Zirpoli lo evidenzia con precisione: i costi dell’inazione sono superiori a quelli della transizione. Non stiamo solo rischiando di perdere posti di lavoro e competitività; stiamo rinunciando al ruolo che potremmo avere nel nuovo scenario industriale globale.

Le scelte che non si fanno

C’è una via per uscire da questa impasse, ma non passa per la difesa dell’endotermico. Passa per investimenti mirati nella riconversione delle imprese, nella formazione dei lavoratori e nello sviluppo delle infrastrutture per la mobilità elettrica. Serve tassare gli extra-profitti delle compagnie fossili e ridistribuire risorse verso settori che possono garantire un futuro sostenibile. Ma questo richiede coraggio, visione e – soprattutto – una rottura con le logiche di conservazione che caratterizzano la politica italiana.

Sull’industria dell’auto un futuro che non aspetta

Il 2035 sembra lontano, ma è dietro l’angolo. Ogni giorno perso nella difesa del passato ci avvicina al baratro. Se il governo italiano non cambierà direzione, il rischio è di trovarci con una filiera distrutta, un’economia marginalizzata e un territorio che subirà le conseguenze peggiori della crisi climatica.

Zirpoli non offre illusioni: la transizione ecologica è un passaggio obbligato, non una scelta. La domanda è semplice: vogliamo guidarla o farci travolgere? L’Italia, patria della grande industria automobilistica, potrebbe essere leader. Ma oggi sembra destinata a diventare un’appendice irrilevante di chi questa sfida la sta già affrontando.